Grandi sono i libri che riescono a metterci in discussione, che ci fanno pensare – come si dice – out of the box. Ed eccolo qui, un grande libro appartenente a questa categoria: Una notte al museo russo, di Paolo Nori.
Nori è il prosatore che sembra dare voce parmigiana ai russi. È lo scrittore parmigiano al quale l’Università Bicocca censura gli incontri su Dostoevskij. Anche se, come scrive in questo stesso libro, la censura a volte è una benedizione: dal 2022 a oggi gli è valsa ben 104 interventi. Un po’ come durante il periodo sovietico, quando i russi inventarono la samizdat, ossia la tecnica di battitura per riconoscere i libri proibiti, e allora si capiva che erano quelli i libri da leggere.
Ed ecco, anche in Notte al museo Paolo Nori non si smentisce. E con uno stile tutto suo – una sorta di calco dell’oralità – il lettore si sente piacevolmente catturato dal suo divagare tra aneddoti e riflessioni sulla Russia del presente e del passato.
Ma facciamo un passo indietro. Certo non era questa l’idea di fondo. Il libro di cui parliamo nasce infatti come inaugurazione alla collana degli editori Laterza “Una notte al museo”, per cui Nori sarebbe dovuto partire per San Pietroburgo, trascorrere una notte all’Hermitage e scriverne. Nori rifiuta. l’Hermitage è il museo dell’arte occidentale, dice, e propone il Museo Russo: la più grande collezione al mondo di arte russa. A questo punto però il viaggio si rivela più complicato del previsto, o meglio, più complicato di come era stato fino a quel momento. Ossia fino a quella “operazione speciale”, così chiamata da Vladimir Putin.
Dopo il Volo Milano-Helsinki e poi il bus fino a San Pietroburgo, Nori trova infatti una inscalfibile resistenza da parte della direttrice del museo: una certa paura, un certo sospetto. Mai ricevuti prima. Per il libro, lo scrittore e i suoi compagni di viaggio, gli altri due protagonisti della storia, Alessandro e Claudio, devono scattare delle foto a dei quadri scelti. Di notte, e possibilmente accompagnati da una guida privata. Tutto ciò – troppo rischioso per il Museo – non accadrà. Loro sono occidentali e, si sa, dall’operazione speciale del 20 febbraio 2022, tra Occidente e Russia – come scrive Nori – vi è un continuo gioco di specchi: “di paure e contropaure, di sanzioni e di controsazioni, di idiozie e controidiozie”.
Il libro diventa quindi tutt’altro. Diventa persino più interessante di quello che sarebbe potuto essere, visto che, come dice Nori, lui di arte non sa granché. Diventa perciò un viaggio sentimentale, poetico ma anche polemico. In battaglia contro la paura, contro la guerra, contro la nascente ostilità tra i due mondi: l’Occidente e la Russia.
Viktor Slovskij in Viaggio sentimentale scrive: “Se invece di cercare di fare la storia, cercassimo semplicemente di essere responsabili per i singoli eventi che la compongono, forse non ci renderemmo ridicoli. Non la storia si deve fare, ma una biografia”. Citazione che troviamo in conclusione al libro. Esortazione che tutti dovremmo tenere a mente in questo periodo, tanto più è comune assistere a disastri, conseguenze di decisioni prese da una minoranza che vuole fare la storia con la propria biografia, mettendo al servizio persone che sono disposte a perdere la vita, privandole di qualsiasi possibilità di scrivere la propria di biografia.
Al contempo, Nori parla di zloradstvo, una parola intraducibile in italiano che in russo significa “gioia che viene dal male che succede agli altri”. Raccomandandoci nello stare bene attenti a non farci travolgere dalla bestialità. Invitandoci alla riflessione, quindi, attraverso un itinerario culturale e politico, quello che lui chiama Gogol Maps’, che ci fa viaggiare tra continui flashback e ritorni al presente, tra la San Pietroburgo di prima, quella di fine Ottocento e inizio Novecento, quella Sovietica, e la San Pietroburgo di ora, in guerra.
La prospettiva è sicuramente controcorrente, e a noi piace così. Leggere la bellezza della Russia, della cultura, delle persone, in un periodo in cui se si parla di Russia è facile che qualcuno storca il naso, perché sì, belli Dostoevskij, Tolstoj, l’Achmatova, Puškin, Gogol’, Čechov, però la Russia ha invaso l’Ucraina!
Nori – sempre controcorrente – accetta invece con lusinga il doppio appellativo datogli, quello di filorusso e di russofobo. Radicato com’è nell’amore per la letteratura russa, la sua prima Beatrice, incontrata durante gli anni universitari nella biblioteca Guanda della sua città, che lo fa piangere quanto le partite del Parma. Ed è un amore per San Pietroburgo, il suo. E cioè per la città cantata da Battiato e da Gilbert Bécaud, che racchiude un mondo in cui la letteratura è più potente della realtà, in cui forse non si sa dove Dostoevskij sia stato interrogato dalla polizia segreta, ma ci si sposta tra le vie della città alla ricerca di via dei Falegnami, là dove viveva Raskol’nikov. O della casa dell’investigatore Porfirij Petrovic. Ed è a partire da questa fascinazione – che l’arte emana- che bisogna ritrovare in essa quel potere valicante, capace di superare i confini posti dalla politica; insegnamento che la lingua ci insegna benissimo: basta pensare che la maggior parte dei russi ed ucraini si definiscono rodnoi – parola per cui è difficile trovare un equivalente in italiano. Rodnoi non è semplicemente un caro, una persona a cui si vuol bene, bensì una persona a cui si è legati visceralmente. Basta pensare all’insalata russa, in realtà belga, e a quelle che noi in Occidente chiamiamo “montagne russe” che in Russia sono le “montagne americane”.
La realtà è diversa, a noi fa rammaricare, a Nori fa commuovere. E ce ne accorgiamo quando ci parla del presente con una voce rotta, perché consapevole – come scrive – che ciò che accadeva agli scrittori durante la Russia Sovietica non è una possibilità del futuro, ma un fatto del presente. Un governo del terrore è in atto che ne punisce uno per educarne cento, un governo che continua a sussistere e che ci fa domandare perché la società russa non reagisca, non solo contro la guerra in Ucraina ma anche contro tutte quelle guerre culturali intraprese da Putin. Ci si chiede se il popolo russo sarà pronto prima o poi ad una effettiva democrazia, considerando che l’unico tentativo di democrazia liberale negli anni ’90 ha fallito dando il peggio di sé, generando povertà, avidità e distruzione di legami sociali. O forse come ci fa riflettere Nori, citando Carrère, “Un russo medio più che avere fiducia in un governante che gli promette democrazia, è più facile che abbia fiducia in qualcuno che gli promette di proteggerlo dalla democrazia, Putin lo sa fare bene.”
Perché questa continua degenerazione, allora? Anna Achmatova in Poema senza eroe e altre poesie, scrive: “Come nel passato matura il futuro, così nel futuro marcisce il passato.”