E vorrei scrivere qualcosa ma proprio non so da dove iniziare. Vorrei buttare giù qualcosa di sensato, che ti strappi il cuore come mi fa Pavese con le sue righe scarne. Vorrei parlarti di quei ragazzi che osservo sottecchi a scuola, dietro ai loro banchi. Sempre arrabbiati per qualcosa, pronti a prendere la vita a morsi, a sgomitare, rincorrendo qualcosa di cui io non ho più memoria. Vorrei saper scrivere che cosa si prova a sedere dall’altra parte, dal lato della cattedra. Quel grande tavolo messo lì, in mezzo tra docente e studenti, che mi sembra quasi una barriera tra chi sono oggi e chi ero ieri.
Vorrei lasciare tutto scritto qui a caso, senza un nesso logico. Senza coerenza né coesione. Ma sono troppo attaccata alla forma, io. Troppo ligia al controllo per lasciare andare i miei pensieri, liquidi, senza preoccuparmi di cosa e come dirò.
Ma se non rispettassi i canoni, adesso, potrei scrivere in comic sans come quando ero bambina.
Lasciare un rigo
O forse due.
Non badare al paragrafo, all’interlinea. Potrei allineare il testo al centro
E rendere poesia
Ogni pensiero mio.
E sentendomi libera tra le righe potrei pensare al fatto che poi alla fine, chi sa mai cos’è poesia. Diffido di chi conosce perfettamente la risposta a questa domanda. Diffido di chi non fa mai domande, di chi sa quali siano quelle giuste, quelle che davvero val la pena di porsi. Diffido di chi trova sempre una risposta a tutto, senza esitazione.
Ma come si fa a non esitare mai. Come si fa a guardare le onde che s’infrangono contro uno scoglio, a guardare un tramonto o il sole che nasce sottovoce e non chiedersi mai, neppure una volta, cos’è che andiamo cercando ogni giorno per le strade, nel cielo, di fronte al mare. E mi chiedo se il mare è un posto in cui davvero, soli non si va, o se sono solo io che preferisco spogliarmi in compagnia su quella sabbia ruvida di alghe e di conchiglie. Se i ragazzini che saltano dai ciglioni a Sant’Andrea hanno paura mai e se alla fine della rincorsa, prima di stringere il naso tra le dita, hanno fatto caso a quell’odore d’aria mossa e di fichi che sento anch’io mentre li guardo. E poi mi chiedo se amare è un coraggio come il loro e se io ho usato di quel coraggio o se quelle volte, poche, in cui ho amato fossero solo una scenetta, un gioco di società.
Vorrei scrivere qualcosa che dica tutto in poche linee. Che stravolga, aggrovigli, porti il disordine, spingendo un mattoncino precario in quell’ammasso di sassi che è il pensiero, facendo rovinare tutto per terra. Vorrei essere quel tipo d’autore che sa leggerti scrivendo, che non conosce eppure descrive, che parla di nessuno e di ognuno in un tempo. Vorrei scrivere di ciò che so, ma è davvero così poco e così incerto. Vorrei dire di tutte quelle volte in cui ho rivoluzionato me stessa per gli occhi di qualcun altro, ma mi fa vergogna. Vorrei scrivere di tutto quello che taccio, dei giorni in cui mi chiedo se forse sono l’unica che aspetta ancora. Se è lecito odiare qualcuno che si è amato tanto e amare qualcuno di detestabile. Se è giusto guidare tutti i giorni per strade che mi hanno fatto del male e se posso continuare a cantare una canzone che dentro mi è come uno squarcio. Vorrei scrivere che a volte il tempo si ferma, si dilata e mi sento come in una bolla nera e vischiosa da cui mi è difficile uscire fuori, e poi vorrei scrivere di tutte quelle volte che ho visto la pioggia e ho pensato a qualcuno. Dell’amore che aspetto, dei romanzi che ho vissuto solo nella mia testa, delle storie che avrebbero potuto essere e non sono sbocciate mai. E mi chiedo se dall’altra parte è così. Se questi pensieri sono solo i miei, se le altre sono tutte teste vergini o se qualcuno, ancora, può leggermi. Vorrei aver scritto tutte quelle righe che ho sottolineato nei libri e vorrei saper spiegare perché ho fatto l’orecchio proprio a quella pagina che conteneva la sola frase ‘sono stato investito?’ e conoscere il motivo per cui la storia di Zeno non l’ho saputa finire di leggere mai. Vorrei scrivere di quando mi sono innamorata e del perché, ma certe cose le si vive senza capirle e saperle dire mai. E vorrei dirti che un giorno saprò scrivere di te e di ciò che mi hai dato. Ma nel frattempo, lasciami qui ad odiarti un pochino, perché tu sei tutte quelle cose che io non ho il coraggio di scrivere mai.