Le parole hanno una specifica importanza e questo titolo sensazionalistico è una formula ritrita dai guru del guadagno facile e da capogiro di cui questa epoca è fin troppo satura. In questo articolo tuttavia, tratteremo di uno strumento citato per la prima volta nel XVI secolo il cui scopo è sconfiggere la condizione di povertà.
UBI: brevissimo focus
Thomas More nella sua opera Utopia del 1516 immagina un’isola in cui gli abitanti sono svincolati dalla sudditanza lavorativa perché a ciascuno di essi è garantita la sussistenza necessaria per poter vivere.
Il reddito universale di base (UBI = universal basic income) è una somma di denaro destinata di diritto a chiunque, in maniera incondizionata e su base individuale – non familiare, senza alcun requisito richiesto da parte dello Stato e senza che l’utente debba presentare richiesta specifica.
Nulla a che vedere dunque con il salario minimo, discussione intermittente secondo cui, per legge, andrebbe stabilita una remunerazione minima dovuta dai datori di lavoro ai propri dipendenti.
Diverso anche dal reddito minimo, essendo questo uno strumento di durata limitata erogato a seconda del patrimonio individuale nei confronti di persone indigenti disponibili a reinserirsi nel mercato del lavoro.
Nessuna di queste proposte trova applicazione concreta in Italia.
Inevitabili perplessità
L’idea estrema e radicale del reddito di base è stata abbracciata nel corso dei secoli da progressisti e conservatori. Eppure, forti sono le perplessità ad averne intralciato l’attuazione completa: dubbi fondati di natura economica e morale.
Non possiamo permettercelo
Il costo di un sussidio del genere è enorme, maggiore del costo complessivo di tutti i programmi di assistenza pubblica tradizionali. Istituito singolarmente risulta infattibile ai più ed è per questo che andrebbe associato ad una revisione del sistema di tassazione. Un’ipotesi esemplificativa di questa riforma viene dalla Catalogna, in Spagna, dove un reddito mensile da 650 euro verrebbe finanziato da un maggior carico tributario per il 20% più ricco della popolazione.
L’hashtag taxtherich conta su Instagram oltre 100.000 post: il dibattito è in crescita.
Uno degli esempi più accurati di introduzione dell’UBI è il caso dell’Alaska, il cui governo ha istituito un Fondo Permanente a cui destinare gli introiti della vendita del petrolio. Il progetto entrò in azione nel 1983 e da oltre 40 anni ciascun cittadino dell’Alaska riceve annualmente un dividendo di $1.000 o 2.000 dollari, a seconda dell’età anagrafica.
Questo dimostra che le risorse si possono trovare, se solo i pochi ad essersene appropriati ne cedessero una fetta…
Reddito di base anche ai ricchi?
Questa reticenza è ovvia e lecita: incondizionato, senza requisiti di natura patrimoniale, implica che tra i beneficiari rientrerebbero anche i ricchi, non certo bisognosi di ricevere un aiuto statale che ne garantisca la sussistenza di base. Ponendo però un vincolo al patrimonio, verrebbe meno proprio la sua natura di reddito universale e privo di condizioni. La risposta rimane la medesima: tassare i ricchi. In questo modo, i soldi versati in eccedenza ritornerebbero allo Stato.
Per lo più gli aiuti economici pubblici impongono requisiti stringenti in termini di patrimonio. Solo le persone profondamente indigenti possono ricevere un qualche bonus che comunque non è sufficiente a garantire una sopravvivenza dignitosa. Inoltre, essendo la burocrazia altamente intricata, incomprensibile alle platee, molti individui a cui spetterebbero di diritto dei sussidi spesso non ne beneficiano affatto.
Imporre un limite patrimoniale è disincentivante perché non incoraggia le persone a migliorare la propria condizione economica.
Prendiamo un tale Marco, inattivo, beneficiario di un reddito statale di € 600 mensili. Perché Marco dovrebbe trovarsi un lavoro stipendiato da 600 euro o poco più se lo Stato, di conseguenza, smettesse di versargli il sussidio? Non sarebbe meglio garantirlo a prescindere, cosicché Marco, lavorando, avrebbe la possibilità di elevare il suo status sociale, raddoppiando il proprio reddito?
Soldi ai “fannulloni”?
Perché dovremmo versare un reddito a chi pur potendo partecipare al mercato del lavoro decide deliberatamente di non offrire il proprio impegno?
Anche qui è valido l’esempio del precedente paragrafo: i vincoli patrimoniali stessi possono costituire un disincentivo.
Esistono molti esempi di individui che offrono spontaneamente i propri servigi non essendo vincolati dalla catena del bisogno. Imprenditori benestanti, anziani che tardano il pensionamento: comunemente l’essere umano non sopporta l’inattività.
È certo che qualcuno in “mala fede” (se così possiamo definirla) sfrutterebbe l’aiuto pubblico dedicandosi all’ozio, forse anche a certi vizi, ma non è detto che questo dato sia così impattante da costituire un problema.
UBI: qualche pregio
L’istituzione dell’UBI avrebbe un impatto eclatante sulla società e sulle dinamiche economiche che la regolano. Senza un’applicazione accuratamente regolamentata, integrata dalle giuste politiche fiscali, lo strumento rischierebbe di inabissarsi così come hanno fatto iniziative similari mal interpretate (si veda il caso del reddito di cittadinanza italiano…).
Sconfiggere fame e povertà
I primi due dei diciassette obiettivi dell’Agenda ONU 2030 recitano: sconfiggere la povertà e sconfiggere la fame, gli stessi obiettivi fondanti del reddito universale di base.
In Italia l’Istat stima in oltre 2 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta, impossibilitate a soddisfare le primissime necessità. Garantire un introito fisso ai meno abbienti restituirebbe loro una dignità perduta. È pensiero comune che i colpevoli di queste sorti disagiate siano i disagiati stessi, come se ciascuno di noi partisse
dalle medesime condizioni e l’unico elemento a fare davvero la differenza fosse il merito, ovverosia l’impegno costante o la mancanza di esso.
Il reddito di base potrebbe essere uno strumento valido di reinserimento sociale e lavorativo.
Mercato del lavoro
Un esperimento di applicazione dell’UBI è stato condotto in Finlandia nel biennio 2017-2018, seppur destinato a un’unica fetta di persone, tra l’altro disoccupate. Il versamento mensile di €560 non costituiva introito sufficiente al mantenimento. Prendendo comunque per buone le evidenze emerse, si è dimostrato come questo reddito statale non abbia costituito un disincentivo a lavorare, piuttosto dagli intervistati è emersa una sicurezza morale e uno stimolo alla ricerca di un’attività lavorativa appagante.
Il maggior senso di libertà garantito dal bonus favorisce l’intraprendenza giusta per pretendere condizioni di lavoro più eque e dignitose.
UBI: iniziativa dal basso
A settembre 2020 fu indetta una raccolta firme digitale a livello europeo per l’istituzione del reddito di base universale. La scadenza (ormai superata) era il 25 giugno del 2022: la proposta non è stata sviluppata perché non si erano raggiunti i quorum prestabiliti.
Tendenzialmente i cittadini non sono consci delle risorse di cui dispongono, e non si può dire che qualcuno si preoccupi di sviscerarle… Se solo il dibattito pubblico avesse discusso più apertamente di questa possibilità, se non fosse che le notizie vengono veicolate verso tematiche sconclusionate, se noi per primi non fossimo corrosi dalla catena del bisogno, forse l’UBI sarebbe già qui. Ma proprio perché non lo è (non ancora), ci spetta di diritto sognarlo; idearlo; progettarlo. Pretenderlo.