Siamo ciò che abitiamo -il sessismo dei monumenti pubblici in Italia-

l’iconografia pubblica dedicata alle donne, nel nostro paese, è estremamente limitata e in certi comuni addirittura inesistente. È  ciò che ci racconta l’indagine dell’associazione culturale ” mi riconosci”  che nel 2021 ha censito circa 171 statue raffiguranti figure femminili su tutto il territorio italiano.

Nel secolo del profilo e dell’identità, dove ogni parte sociale combatte per una fetta di rappresentazione e punta a plasmare lo spazio pubblico secondo i propri valori, l’urbanistica in Italia sembra risentire ancora di un eco patriarcale di cui molti paesi europei sembrano essersi liberati da tempo.

L’indagine

Mettendo insieme Roma, Napoli, Torino, Firenze, Bologna, Bari, Palermo, Cagliari e Venezia si arriva a un totale di venti monumenti femminili, di cui solo otto sono statue a figura intera. Il report, che ha escluso figure allegoriche, come la Patria o la Vittoria, e mitologiche, come Venere o la Madonna, stima che, di queste, solo il 36% sia collocato in una piazza e meno della metà rappresentino personaggi realmente esistiti. https://www.miriconosci.it/mi-riconosci-risultati-censimento-monumenti-femminili/

La maggioranza del patrimonio statuario di genere è infatti destinato alla veicolazione di immagini idealtipiche, ancorate a valori e stilemi tradizionalisti quali la cura (rappresentazioni di generiche mogli, madri, nonne, spesso in compagnia di bambini o dei mariti) o il dolore necessario (la classica “mater dolosa”, che in silenzio sopporta la solitudine e lo sforzo del lavoro manuale). Solo il 17% delle statue sono destinate a donne per meriti intellettuali o artistici.

La figura più rappresentata è Anita Garibaldi, sempre epigrafata con il cognome del marito e spesso raffigurata in sua compagnia. La sua statua equestre a Roma è un manifesto della condizione stereotipica in cui versano le raffigurazioni del femminile nel nostro paese. La “moglie di Garibaldi” viene immortalata intenta al galoppo, mentre, con fare arcigno e sofferente, regge, in una mano la pistola che fa l’Italia libera, e nell’altra un neonato in fasce, inspiegabilmente catapultato sul campo di battaglia. Multitasking diremmo oggi.

Non serve però spingersi fino a Roma per osservare come le poche figure statuarie femminili presenti nel nostro paese veicolino un’immagine stereotipata e spesso iper-sessualizzata del modello di donna. Come afferma l’associazione mi riconosci nel suo report:

“Diverse statue figurative a figura intera che intendono omaggiare donne del passato o specifiche categorie presentano corpi nudi fortemente sessualizzati. Questa connotazione erotica va inevitabilmente a sminuire il soggetto ritratto, privandolo, insieme alle vesti, della sua storia e del suo pensiero”.

I nostri centri urbani sembrano dunque condannati ad essere abitati da “monumenti misogini” e “bizzarre madri a cavallo con pistola” ma c’è chi sta provando a cambiare le cose.

Ripensare l’abitare

La rappresentazione antiquata e stereotipata del modello femminile, di cui queste rappresentazioni si fanno carico, ha portato l’associazione a interrogarsi sul modo, le forme e i soggetti che stanno plasmando le città del futuro in Italia.

Sebbene circa la metà delle statue pubbliche femminili nel nostro paese sia stata realizzata negli ultimi vent’anni, sintomo del riconoscimento di un vuoto nella connotazione dello spazio urbano, circa il 91% di queste opere sono a firma maschile, mentre solo il 5 % è a firma unicamente femminile.

Insomma, un’idea dell’abitare pensata dagli uomini per gli uomini, dove le rappresentazioni di inclusione rappresentano un’esigua minoranza. Aldilà dell’evidente squilibrio numerico, infatti, la distribuzione dell’iconografia statuaria femminile ci ricorda come lo spazio pubblico non possa e non debba mai essere pensato come neutro. Esso è un Messaggio, un veicolo di valori, principi e sensibilità. Il nostro abitare è politico, perché ci dice moltissimo sulle istituzioni che lo modellano e influenza giornalmente gli ideali di coloro che lo vivono. E dunque:

“Non si può continuare a ignorare il problema: lo spazio pubblico e i monumenti plasmano il nostro modo di pensare, offrono modelli, ricordano e celebrano; per questo un approccio analitico e femminista è cruciale prima che necessario”

Ripensare l’abitare, dalle piazze ai vicoli, dai paesi alle città, seguendo nuovi modelli che mettano al centro la comunità, celebrando valori di inclusione e coinvolgendo i singoli invogliandoli al confronto. Riconoscere ognuno nella propria specialità ma favorire l’incontro, senza vincoli ne barriere. Tanta strada da fare e tanti volti nuovi da scolpire.

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