La giustizia ha ormai fatto il suo tempo, sia chiaro parlo della vecchia giustizia, quella che avviene nei tribunali, quella per la quale squallidi avvocati e magistrati corrotti hanno tentato convincerci che fosse l’unica strada perseguibile, quella giustizia fatta di disonestà, strette di mano che portano ad occhi chiusi, pene finte. ‘Giudichiamo in nome del popolo’ dissero, ma il popolo voleva altro, non si accontentava più di una finta sentenza di condanna o assoluzione, non si accontentava più di restare spettatore. Dietro ogni sentenza di condanna c’è stato un comportamento dannoso per la società, e allora perchè restare in silenzio e far giudicare qualcuno che non sia il popolo stesso? Ci siamo stancati di essere degli spettatori di una giustizia ipocrita e cosi siamo passati da amministrare la giustizia in nome del popolo ad amministrare il popolo in nome della giustizia, non siamo più spettatori, ora siamo contemporaneamente vittima, giudice e boia. Via giudici, tribunali,, cancellieri ed il resto dei buffoni di corte, adesso c’è il popolo che giudica, noi si che siamo in grado di garantire giustizia.
Qualcuno magari si starà chiedendo come siamo arrivati a tutto questo e la risposta è molto semplice: noi non vogliamo giustizia, vogliamo spettacolo.
Fin dai tempi antichi la sofferenza è fonte di spettacolo, non mi credete? Basti pensare a ciò che accadeva nel Colosseo dove la lotta per la vita diventava una giornata di svago per gli spettatori, oppure penso alla antica ghigliottina francese che grazie alle esecuzioni in piazza permetteva al popolo di godere di un macabro spettacolo. L’uomo è sempre stato affascinato dalla sofferenza altrui e questa cosa non cambierà mai. Possono cambiare le forme attraverso le quali si manifesta la sofferenza ma non si può cambiare la natura dell’uomo. Ad oggi non è più possibile godere della visione di un uomo al quale viene mozzata la testa e allora abbiamo deciso che l’avremmo tagliata noi. Non parlo di una decapitazione in senso materiale, parlo di togliere la dignità, parlo di incollare un’etichetta che non potrà più andare via, faccio riferimento al costringere a vivere nella vergogna e nella sofferenza. Diciamoci la verità, dio cosa dicesse un giudice a noi non è mai fregato un cazzo realmente, a noi interessa solo lo spettacolo e cosi abbiamo sostituito quei vecchi e polverosi tribunali con la nostra giustizia, il giudizio del popolo. Il nostro non è un giudizio universale, non prestiamo la nostra attenzione a chiunque, il nostro sguardo è sempre rivolto verso l’unica costante che accompagna l’uomo fin dalla sua nascita: la sofferenza.
Dove c’è sofferenza ci siamo noi e dove siamo noi c’è sofferenza,. Le nostre sentenze non sono come quelle dei tribunali, si sa come vanno certe cose lì dentro, sconti di pena e dopo poco si ritorna in libertà. Adesso non funziona cosi, il nostro è un giudizio perpetuo e costante. Una volta che il popolo ha dichiarato colpevole qualcuno questi sarà colpevole per il resto della sia vita, non esiste redenzione o sconto di pena, esiste solo ulteriore sofferenza e ulteriore spettacolo.
Oggi è successo qualcosa di strano. Un uomo si è presentato da noi per ricevere il suo giudizio come accade ogni giorno. Come in ogni assemblea anche qui c’è dibattito. Principalmente vi era chi riteneva l’uomo colpevole di non essere degno di vivere con gli altri, poco importa di quale fosse l’accusa, il nostro è un giudizio morale non giuridico. Tutto ciò che ha importanza è che vi sia sofferenza, come se fosse una legittimazione a giudicare. La sofferenza di quell’uomo non era un deterrente per i giudizi del popolo, anzi è come se fosse benzina per il fuoco dei loro giudizi. Dall’altro lato c’era di quella differenza se ne serviva in modo diverso. Vi era chi vedeva in quei lamenti l’occasione per mettersi al centro del palco scenico, c’era chi di quella sofferenza se ne faceva beffe, vi era chi si scagliava con ferocia a difesa di quell’uomo con il solo scopo di difendere il proprio diritto a partecipare allo spettacolo. Quasi sempre le assemblee procedevano in modo caotico, diventavano l’occasione per definire quale fosse la morale superiore, quella che più si adatta allo spirito del popolo. In questo caso, come nella maggior parte dei casi, non si riusciva a venirne a capo.
Ma oggi qualcosa è andato diversamente. All’improvviso nel trambusto generale un uomo richiama l’attenzione a sè, si presenta come un uomo giusto, affermando che la soluzione di quel conflitto tra le diverse fazioni fosse l’eliminazione del conflitto stesso. L’uomo ha iniziato a blaterare cose assurde, ha detto che il primo punto per progredire come società fosse l’eliminazione della spettacolarizzazione della sofferenza, lo smettere di trasformare ogni tragica vicenda in una lotta per la supremazia delle proprie idee e della propria morale, lo smettere di rendere le persone attori protagonisti di uno spettacolo teatrale alla fine del quale riceveranno sputi o applausi a seconda di chi guarda lo spettacolo. L’uomo ha proseguito nel suo discorso spiegando come la conflittualità e lo scontro non facciano altro che rendere più difficile la comprensione di un problema e quindi renderlo impossibile da risolvere. Ci si focalizza sullo scontro, sulla superiorità ideologica e morale ignorando che ciò avviene utilizzando la sofferenza delle persone come terreno di scontro. Se da un lato Aristotele vedeva nella rappresentazione della tragedia uno strumento terapeutico per le angosce quotidiane, dall’altro lato dimentichiamo troppo spesso di avere a che fare con esseri umani e come tali capaci di commettere errori. Non è accettabile rendere la sofferenza di qualcuno il protagonista di uno scontro ideologico e morale, questo scontro deve avvenire al di fuori di tutto ciò. L’uomo infine rivolgendosi a tutta l’assemblea invitò i suoi componenti ad astenersi dall’emettere un giudizio, li invitò a non usare la propria morale per giudicare la vita di un altro uomo, li invitò ad essere giusti e non vendicativi. Mentre terminava il suo discorso il popolo aveva già emesso la sua sentenza. Il popolo ha deciso e ha scelto lo spettacolo.