L’acqua bolle, decido di buttare giù la pasta. Mi dimentico di mettere il sale, come sempre.
Controllo i minuti di cottura. Dieci minuti. “Ma quanto cazzo ci mette?”, sentenza di un certo spessore sociale. So che dovrei, da vera italiana, assaggiarla, la pasta. Ma io uso il timer. Non c’ho tutto ‘sto tempo di stare lì a smanettare vicino ai fornelli e a capire il grado di cottura ad intervalli sparsi. Perdo tempo. C’ho fretta. E poi a me assaggiare la pasta fa veramente schifo.
Mi dirigo in camera nel frattempo, tanto qualcosa da fare la trovo sempre, un paio di calzini in giro, un jeans non lavato, il profumo spostato di due millimetri a destra rispetto al solito, cose ordinarie insomma. Faccio dietro-front, passo anche dal bagno, tolgo la macchia di calcare dal rubinetto, l’acciaio sa essere stronzo.
Oggi tour della casa. Che un giro in salotto non te lo fai? Controllo che le chiavi siano sempre lì al solito posto, che il pianoforte nero sulla sinistra stia ancora implorando di essere usato. Lo vedi proprio che fa le moine per essere considerato. “Io non so suonare, che cazzo vuoi?” gli ho detto un giorno. Credo l’abbia presa a male.
E tutto questo per aspettare la cottura della pasta, che poi non ricordo nemmeno quale pacco abbia preso, sicuramente uno in sconto alla Lidl. Lì, dove vige l’arte del risparmio.
E così per quei dieci minuti inizio a dimenarmi, da una stanza all’altra, tra un panno umido e un jeans fuori posto, tra un mazzo di chiavi e una pirouette in salotto, e tutto questo, pensa un po’, per non pensare. Adesso la cogli l’ironia?
Sí, sono proprio io.
Io, che non so darmi tregua per dieci minuti, io che devo sempre avere le giornate straripanti, io, che di mettermi in discussione ne ho le palle piene, io, che devo sbagliare strada e allungare il tragitto per tornare a casa quando c’è il sole, sennò rischio di perdermi nel sentiero del mio stesso buio eterno. Io che non ho mai saputo piangere, né per immensa gioia e né per troppo dolore, io, che aiuto non lo chiedo mai e che vengo puntualmente lasciata sul ciglio della strada, io con la voce in testa che mi rimbomba anche alle tre di notte in discoteca sotto cassa, io che ho vissuto tanto ma sono esistita poco.
Io, la stessa persona a cui suona il timer.
Come se fossero realmente quei dieci minuti a fare la differenza, come se passare un altro pranzo da sola non mi facesse desiderare altro se non fuggire da me stessa, come fosse semplice, alla fine, non prendersi troppo sul serio.
Io, che vorrei non sfiorarmi con la mente per almeno dieci minuti.