L’otto marzo. E come uscirne

« Auguri Ro! Auguri a te e a tutte le donne. »
Un augurio, solitamente, provoca gioia e gratitudine. Allora perché rabbrividisco alla lettura di questo messaggio?
Questo giorno per me non è una festa. Questo giorno riafferma lo stato delle cose, e le cose non vanno mica bene. Con più di 120 femminicidi solo in Italia nel 2022, lo stipendio delle donne che è pari alla metà di quello degli uomini, un elevatissimo livello di precariato nel mondo del lavoro, sessualizzazione, oggettificazione, spettacolarizzazione, mercificazione e tante altre tristi realtà di fatto sulle quali non mi soffermerò in questo articolo, nonostante sia dovere civile e morale di tuttx conoscerle a memoria, allenando dissenso e rabbia. Quelle citate sono conseguenze materiali di ramificazioni psicologiche che albergano in un collettivo sessista, che declinano la donna al rango di cosa, di essere inferiore, di prostituta, di frigida, alla mercé di tutti ma non di sé stessa. Il maschilismo non è solo un problema sociale che si palesa in queste evidenti conseguenze (che non sono estreme, e che influenzano ogni donna ogni giorno della sua vita), ma è un seme seminato all’interno dell’inconscio di tuttx. Il maschilismo interiorizzato è di uomini, donne, non-binary, trans, femministx e non. E riconoscerlo è il primo passo per smantellarlo dalle sue fondamenta. Riconoscere la responsabilità di tuttx e il potere di tuttx nella costruzione delle dinamiche collettive. Se da un fratello, un amico, pensi a una sorella, un’amica, ti renderai conto di quanto le tue codificazioni si spostino, cambino quasi orientamento cognitivo, dimensione logica; il discorso non è più neutrale ma qualsiasi cosa che verrà costruita su questi oggetti, si costruirà su una base di asserzioni di genere apprese, in linea con le nostre aspettative sulla donna e sulle sue caratteristiche. L’essere uomo, in tal senso, non è un connotato, ma solo potenzialità libera (come la vita fluida e non recintata, libera di esprimersi – di fatto per un uomo il mondo non è ostile, come per la donna, ma è un amico, un aiuto per raggiungere la realizzazione, un padre benevolo, non paternalista).
Allora viene spontaneo pensare, in luce dei tanti auguri che si ricevono oggi, che queste realtà non siano ignorate, che ognunx, soprattutto se uomo, riconosca il suo lavoro da fare , in termini di decostruzione, di impegno a smantellare certe dinamiche per costruirne insieme di più giuste, per consegnare alla donna piena dignità, non più vista come semplice e fragile esenzione.
Ma così non è.
Colui che porge i suoi più sentiti auguri è il datore di lavoro che, al colloquio, ti chiederà se vorrai mai dei figli, lo stronzo che non ti promuoverà mai, per quanto tu sia brava nel tuo lavoro, perché ci sarà sempre un altro collega che prenderà il tuo posto. Colui che ti fa gli auguri e che dice che ti ama, è colui che sindacalizza sui tuoi vestiti, perché solo lui ha il diritto di guardarti, tu sei sua e credi che ciò sia bellissimo; colui che durante una lite ti ha menata, perché ti amava troppo. Chi ti regala la mimosa è anche chi, seduto al bar, commenta ogni donna che gli cammina intorno, con le gambe accavallate e un sorriso presuntuoso – il mondo è suo e le donne sono solo un’attraente comparsa che lui ha il diritto di giudicare ogni volta che lo ritiene opportuno. La mimosa te la regala chi, in discoteca, ti ha molestata, non perché due drink in eccesso rendono labile la definizione di consenso, ma perché il tuo consenso è cosa marginale che può anche non palesarsi. E poi, tanto, sei sempre tu che te la cerchi, giudicando male, fidandoti troppo, bevendo qualche drink tra una canzone e l’altra. Chi ti fa gli auguri è il professore che ti boccia perché ti rifiuti di farci sesso. Chi ti fa gli auguri è il professore che durante l’esame annuisce ma non ti ascolta, impegnato a cercare lo sviluppo della tua scollatura; lo stesso che, con una pacca ben troppo confidenziale, ti comunica che sei stata promossa, ché sei carina. Chi celebra il tuo intelletto è colui che con te non parla di affari o di politica. Chi celebra la tua bellezza feconda ma solo quando di taglia 38, capelli lunghi, curati, il corpo domato e in ordine. Ma se sei grossa, e magari c’hai pure la testa rasata, e non sei neppure abile, la bellezza feconda dell’eterno femmineo la lasciamo volentieri a casa.
Chi ti fa gli auguri è la donna che si illude che essere donna sia un privilegio e non un problema. È la donna che davanti alla tua rabbia sorride senza speranza, dicendoti che è bello vedere la vitalità dei tuoi 22 anni. Perché lamentarsi delle iniquità di un sistema perverso è cosa da ragazzinx; è quasi tenero pensare che ci sia un problema, ancor più sperare di cambiare le cose, e riconoscere di avere – collettivamente – il potere di farlo.
Mi fa incazzare che si celebrino la forza della donna, la bellezza della donna, l’intelletto della donna (sempre ammesso che ci sia un reale significato dietro questa parola, « donna », che non riguardi solo i genitali con cui una persona nasce, tralasciando l’universo del non abilismo che nei codici di codificazione binari della realtà non viene mai preso in considerazione) quando ogni giorno vengono deturpatx sistematicamente dalla stragrande maggioranza degli uomini e di socializzati come tali, e ahimè da molte donne stesse, e socializzate come tali. Alcune di loro scendono persino in piazza, esibendo qualche striscione colorato, qualche slogan dal significato forte. La realtà è che il corpo della donna è un territorio politico di guerra, in cui agenti politici quali una confessione, un partito, la famiglia, un amante, pretendono di avere voce in capitolo. Persino l’aborto non è una nostra scelta.
Oggi dicono che siamo forti, ma alle donne ogni giorno a lavoro, a casa, a letto vengono richieste docilità, acquiescenza, remissività, passività. Le donne vengono trattate come se fossero in costante stato di bisogno, come se la loro natura fosse intrinsecamente fragile, lacerata. Si aspettano un miagolio seducente, dalle donne, mica un ruggito incontenibile, selvaggio. Persino a letto le donne diventano il fantasma di loro stesse, alla ricerca del mito femmineo, delle bambine pudiche, senza personalità, senza peli, capaci di far godere ma ignare dell’infinito di fuoco del loro piacere personale, trattato come cosa sconosciuta e poco importante, dal partner e da loro stesse.
Dicono che sono belle ma tale bellezza non è frutto creativo dell’anima artistica che è in loro, vitale, animale; non esprime l’esistere fluido e libero; essa diventa un’imposizione dolorosa che annulla e annichilisce, offrendo unicamente forme prestabilite. L’ intelletto è coccolato da vizi inutili, all’interno di una gabbia che lo vuole rinchiuso e delimitato, come un animale addomesticato che perisce per mancanza di stimoli.
Dicono che le donne sono forti e resilienti, ma il Man’s World non lo crede o forse sapendolo ne prova inconsciamente paura, e con finta benevolenza e grande paternalismo scarica il peso del mondo sulle loro spalle, aspettandosi che se ne stiano pure zitte, con il doppio del lavoro da fare, per meno della metà della visibilità, della rispettabilità, del compenso sociale ed economico.
Oggi non è giorno di festa: è giorno di lotta attiva e decostruzione ardente. E per decostruire i valori vigenti marciare con un bel cartellone non basta. Non serve regalare fiori quando le donne vengono prevaricate ogni giorno. Sono fiori che sanno di truffa e inerzia senza logica.
Non serve marciare un giorno, per poi ritornare ai valori noti, solo per sentirsi la coscienza meno sporca.
Facciamo tuttx parte di un sistema prettamente partiarcale, dettato dalla logica del dominio e del possesso, e sta a ognunx di noi fare la sua parte, non solo come elemento di un collettivo o di un movimento. Quello viene dopo e solo se si è prontx a fare un lavoro introspettivo. Ciò in cui bisogna scavare è l’individualità, recidendo i significati appresi all’interno di questo codice, costruendone di nuovi, con il confronto e la voglia e la prontezza di mettersi sempre in discussione. È lì il terreno fertile in cui seminare novità e togliere l’erbaccia. E non aspettate l’anno prossimo: trattate la cura del vostro giardino interiore, connessa alla riflessione su temi tanto forti e urgenti, come cosa d’ogni giorno. E non fatelo in nome di voi stessx, o della mamma, della nonna, dell’amica, dell’amata, della donna abile, della donna forte, etc etc. Fatelo in nome dell’amore incondizionato verso la specie, che ricalibra senza sforzo l’energia cosmica al prima che fosse deificata e smantellata in pezzi. Riappropriamoci dell’unità naturale del cosmo e della sua energia viva attraverso la lotta sociale e interiore. Scacciamo via i fantasmi di sistemi che non ci appartengono. Sradichiamoci dall’assolutismo dell’ideologia e dal moralismo del « così dovrebbe o non dovrebbe essere » per sentito dire o comportamento appreso, e torniamo all’Uno naturale, rinvigoriamo la necessità di uno spazio sicuro e comune. Togliamo ciò che separa forzatamente; costruiamo ciò che unisce.
Basta porgere auguri insensati e ipocriti, dato che l’essere « donna » è materialmente più un intralcio che una fortuna. Allora scacciamo la pigrizia e la comodità di avere gli occhi bendati, anche quando ciò ci è concesso da una posizione di privilegio, e accettiamo la scomodità dei nostri compiti, e l’impegno che richiedono affinché vengano assolti. Teniamo gli occhi aperti per imparare a decodificare le inequità presenti all’interno di uno status quo che è comfort solo per pochx, impariamo a denunciare a gran voce ciò che non va, comunichiamo il dolore, impariamo a guardare il disagio nostro e dellx altrx, a prenderlo per mano, a portarlo fuori.
Viviamo in una parte del mondo, in un determinato periodo storico, in cui le prevaricazioni e gli abusi sono più subdoli e silenti. A pochi passi da noi ci sono studentesse avvelenate nelle scuole, donne che protestano per i loro basici diritti rischiando la vita ogni giorno. Donne che hanno occupato l’università per urlare a gran voce che hanno il diritto di accedervi. Donne che non possono andare in palestra, nei bar, mostrare il proprio volto per strada, camminare da sole. Verrebbe da dire che da noi, allora, le cose vanno bene così. Ma non ci potrebbe essere errore più grande. Quando si analizza la storia, la sociologia, la politica, si deve sempre tenere in mente l’obiettivo, ciò e cosa potrebbe andare meglio, non peggio; lo sguardo fisso sul futuro, evitare di venire ingannati dal tranello della comodità. Se c’è anche solo una cosa che non va bene, anche solo una minoranza a vivere nel disagio, allora è dovere di tuttx ammettere l’errore, e iniziare a lavorare affinché venga superato. Rimbocchiamoci le maniche insieme allora.
Vale molto più di mille auguri.

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