Los muertos esperan por tí

“I morti ti aspettano, pistolero” mi disse una bruja, in una balera di notte, “te queda un ultimo tango”.

Lo disse sul ciglio della porta, facendo per uscire, e lo disse sussurrando, lentamente, guardandomi negli occhi.

Eravamo distanti almeno una decina di metri, e quel sussurro, soffiato in mezzo ai rumori della balera, mi arrivò chiarissimo, come se le labbra della bruja fossero a un millimetro da me.

“I morti ti aspettano”, niente di nuovo, quasi un ovvietà.

Ne avevo disseminati, di morti, e tutti guardandoli negli occhi: qualcuno pregava, altri tacevano, la maggior parte però prometteva vendetta, quando anch’io li avrei raggiunti nel mare della morte.

Uccidevo, sì.

Solo stronzi, per carità, stupratori, usurai, ladri, assassini, truffatori.

Uccidevo per proteggere, per vendicare, per risolvere, mai per gusto: davanti a quel gesto, all’uccidere, ormai quasi meccanico, ero indifferente.

Mi piaceva però pensare di star spedendo quelli stronzi in un posto peggiore rispetto a quello in cui stavano.

C’è, in questo mondo psicotico, chi è cattivo per gusto e chi invece il male non lo sceglie e ne è prigioniero, e i secondi talvolta cercano una luna che possa indicare una strada diversa, mentre i primi si nutrono del sangue che spargono, della paura che incutono, e per loro non esiste espiazione, figurarsi rimorso, ed è per questo che io diventavo necessario.

Che potessero poi aver fatto combutta e aver deciso di aspettarmi lì, alle porte della morte, per una salata resa dei conti, non mi stupiva più di tanto: sono scimmie assetate di dolore, non si potrebbero comportare altrimenti.

Ciò che mi disturbava, delle parole della bruja, era quel “te queda un ultimo tango”, ti resta un ultimo tango, che suonava più come una promessa, che come una minaccia.

Decisi di seguirla.

Raccattai le pistole, scolai la mezza pinta che mi rimaneva, saldai al barista e feci per andare.

“Dove vai, boludo?”

Un omone, calvo, alto, si mette tra me e la porta.

“Il mese scorso hai ammazzato mio fratello” disse, sferrandomi poi un destro poco al di sopra della mandibola.

Chissà chi cazzo era, pensai nel frangente prima che le sue nocche mi spaccassero la faccia.

La balera intera si azzittì e iniziò a guardarci.

Lo mataste, boludo!” gridò, andando per sferrare un altro pugno.

Prima che potesse farlo, si ritrovò le bocche delle mie due pistole esattamente parallele agli occhi.

“Spostati” dissi.

“Hai ucciso mio fratello e quella puttana di sua moglie è scomparsa con i suoi soldi, me li devi tutti!” balbettò.

Ricollegai, parlava di Rocío, la barista di una locanda poco lontana dalla balera, il marito la picchiava, lo sceriffo non voleva intervenire e allora me ne occupai io.

L’omone alto e calvo non era cattivo.

Tremava, sudava, si era costretto a quella prova di coraggio solo per dimostrare alla famiglia che poteva raccogliere l’eredità del fratello.

Io uccido solo gli stronzi, e lui non era uno stronzo, al massimo un idiota.

Roteai una delle due pistole e lo colpì forte all’altezza dell’occhio con la calce, dovevo mandarlo a terra velocemente, la bruja poteva essere già andata via.

Cadde a peso morto, il fratello dello stronzo, e dopo essermi assicurato che respirava ancora, lasciai finalmente la balera.

Nella piazza antistante non c’era nessuno.

Dove sei andata, bruja? Non vorrai certo dirmi che il mio ultimo tango era con quell’idiota del fratello dello stronzo.

“No, pistolero, una vita come la tua merita un finale scenografico”.

Ancora quella voce, ancora quel sussurro.

Sbucò, non so da dove, ed era dietro le mie spalle.

Un telo di seta a cingerle il capo, due occhi chiari come la luce in una notte che ha dimenticato di radunare le nuvole.

“Chi sei? E cos’è questo ultimo tango? Io non uccido per commissione.”

“Io ti ho parlato di un ballo, non di uccidere.”

“Non so ballare, so solo uccidere. E ti ho chiesto chi sei.”

“Pistolero, sai fare molto altro, e mi ferisce sapere che hai perseguitato il male così tanto da dimenticare tutto quello che un tempo ti faceva del bene” rispose la bruja, levandosi il telo di seta che le cingeva il capo e mostrando una piccola cicatrice, che partiva dal lobo sinistro e seguiva la mandibola fino a toccare anche il collo.

Nahía”.

“Sei peggiorato, pistolero”.

Nahía era mia moglie, anche se il nostro matrimonio, nell’effettivo, durò solo un giorno.

Ci conoscemmo ad Ovest, quindici anni fa, ero di passaggio nella sua città, davo la caccia ad un prete pedofilo.

Ero a corto di pallottole, quindi mi fermai in una bottega, e dopo aver fatto scorta, mi fermai in una locanda lì accanto.

Dopo un paio di pinte notai una donna, seduta ad un tavolo, che leggeva i fondi del caffè, era Nahia.

Mi avvicinai, un po’ per diletto, un po’ per noia, o almeno era quanto mi raccontavo: la bellezza di Nahia era così tanta da abbagliare anche chi di luce conosce solo quella delle scintille che fanno certe pistole quando sparano.

“Nel tuo fondo vedo mucha muerte y mucha luz” mi disse.

Ci innamorammo subito.

Iniziai a fottermene, del prete pedofilo, degli stronzi e della morte.

Nahía era luce pura, conosceva verità che ancora ignoravo e cantava storie che solo i suoi occhi potevano aver vissuto.

Dopo un mese, le chiesi di sposarmi, e lei mi rispose che ci eravamo destinati, perché in un’altra vita ci era stato impedito di amarci.

Il matrimonio fu una grande festa, il dramma si sostanziò il giorno dopo.

Tornavo a casa, per l’ora di pranzo, con in mano un mazzo di rose e due biglietti per un viaggio, e trovai la porta socchiusa.

Appena entrato, vidi Nahía legata ad una sedia e quello stronzo del prete pedofilo con un coltello vicino alla sua giugulare.

“Mi volevi morto, pistolero, e inv..” non ebbe il tempo di finire la frase che si ritrovò una pallottola piantata in testa.

Avevo cacciato una delle due pistole e avevo sparato, senza mirare, sicuro che avrei colpito solo lui.

Corsi verso Nahía, era ferita, lo stronzo aveva poggiato il coltello all’altezza del lobo e stava iniziando ad affondare.

La slegai dalla sedia e la portai subito a farsi medicare, si riprese subito, ma una volta tornata a casa, non mi trovò.

Dopo essermi assicurato che stesse bene, ero ripartito per andare a Est.

Il senso di colpa era troppo forte, e la paura lo pareggiava.

Io, che in colpa e spaventato non mi ero mai sentito.

Il prete era uno, ma chissà quale valanga di stronzi non aspettava altro che un pretesto per farmi tornare il male che avevo procurato.

Finché a pagare fossi dovuto essere solo io, non mi sarei posto alcun problema, ma il solo pensiero che avrebbero potuto fare del male a Nahia mi distruggeva.

“Sei scappato senza dire nulla, pistolero.”

“Ero spaventato.”

“Potevi lasciare almeno una lettera.”

“Volevo che mi dimenticassi, mi hai dimenticato?”

“Non ti ho dimenticato, ma non mi sembra tu possa dire lo stesso.”

Con Nahía di mezzo io ci sono sempre un po’ meno.

D’abitudine, quando mi sento minacciato, l’unica cosa che so fare è sfoderare le pistole e far fare a loro il resto, ma non mi sembrava il caso.

“Perché sei qui?” le chiesi.

“Sono qui per te” disse, “e vorrei essere qui per chiederti di smetterla, con tutto, con gli stronzi, con la morte, di rinfoderare le pistole per un’ultima volta, di scappare insieme per l’Europa, per vivere la vita che ci eravamo promessi.”

“Nahía, io..”

“No, pistolero, aspetta” mi interruppe, “io ti conosco e so che sarebbe come chiederti di rinunciare a te stesso.”

“Qual è l’ultimo tango che mi resta, Nahía?”

“La morte non ti è distante, pistolero, l’hai corteggiata così a lungo che finalmente ti vuole con sé.

Me lo ha detto una notte dello scorso luglio, e non c’è stata una notte da quel giorno che non ti ho pianto.

Hai un ultimo tango, pistolero, che sia con me, con le tue pistole, in una balera o in un cimitero, ma sarà l’ultimo.

Sono qui per chiederti di non sprecarlo.”

Non disse altro, si cinse di nuovo il capo con il telo di seta, e mi diede un bacio.

Nella mia testa rimbombò di nuovo un sussurro, ma le sue labbra non si mossero.

“Nel caso in cui non ti dovessi vedere più”, diceva.

Mi guardò negli occhi, forse un’ultima volta, poi mi superò e fece per andarsene.

Era quasi già troppo lontana, mi girai e dissi “Nahía”, volevo vederla ancora.

Cuidado, pistolero” disse lei, “e ricorda, los muertos esperan por tí.

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