L’ipocrita

Che Dio

Mi giro, rigiro, non trovo facce a me familiari: tutto ciò cui ero abituato è sprofondato in un’immane falsità.


Falsità a me sconosciuta, poiché non mi sono mai sentito una persona che avesse qualcosa da nascondere, o almeno, non a primo impatto.
Non mi sono mai preoccupato di esprimere ciò che pensassi, eppure, in questi giorni più che mai, mi viene il dubbio che ci si stupisca più di una sconosciuta onestà rispetto che di un’ordinaria ipocrisia.


Già, dico ordinaria, perché per tutte le cazzate propinate quotidianamente, ormai, per rimanere stupito dovrei essere uno stolto con scarso adattamento all’ambiente circostante.
Ho sempre immaginato che la selezione naturale in persona si alzasse, scuotesse la testa e consentisse all’ipocrita che ha basato la propria esistenza sulla menzogna, di continuare a farsi strada, segno di un grande adattamento mentre TU, povero stronzo affidatoti al buon senso -cui soggiace il concetto che leccare culi e sparare stronzate pur di apparire,
non sia l’esigenza per riuscire nel mondo- NO! tu no, perché mi stai sul cazzo..
e sei un povero stronzo.


Avverto che i miei vent’anni possano avermi dato leggermente un po’ di esperienza, giusto un po’:non vorrei peccare di hybris. Per comprendere le minime inclinazioni caratteriali che possano avvicinarsi al fastidio del ronzio di una lurida succhiasangue dietro l’orecchio, chiudete gli occhi, immaginate il ronzio. E pem, sbuca la succhiasangue, volevo dire, l’ipocrita.


L’ipocrita accenna sorrisi sapendo di non poterseli permettere, creando un visibile stato confusionale, compensando ciò con un ego spregiudicato e crudeli doppi fini meschinamente rifilati sotto forma di spudorata ed apparente gentilezza.
Un po’ come l’areoplanino che faceva tua mamma con un omogeneizzato alla pera, e poi con l’altra mano, dopo secondi impalpabili di frenesia mista a eccitazione in cui l’areoplano non atterrava a casa base, con l’altra mano, libera da ogni responsabilità morale, arrivava un broccolo di merda che faceva perdere le speranze di una vita felice a te in primis ed una serena serata a tua madre, quella stronza doppiogiochista. Cazzo, già da piccolo avrei dovuto capire come andava questa dannata vita.


Non ho mai più visto un aereo con gli stessi occhi.
Concludendo questo sproloquio dovessi fare i conti nelle tasche altrui, farei il ragionamento seguente: questo buon viso a cattivo gioco, non è un’usanza tramandata dall’uomo preistorico a quello attuale, bensì è stato l’accumularsi di una società che ha immesso il concetto che un personaggio costruito sia maggiormente papabile rispetto all’integrità del singolo; pensiero per cui, i social -la piaga delle piaghe-rappresentano il processo di standardizzazione di diversi personaggi l’uno diverso dall’altro, ma inevitabilmente tutti privi di anima, con un curriculum vitae colmo di iperboliche falsità propinate a loro stessi e a terzi, spiegazione del perché siano così assodate diffidenza e pochezza intellettuale nel prossimo,
come le puttane sulla tangenziale .

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