L’estraneo nello specchio

Avete mai provato a guardarvi allo specchio?

Che domanda, nella società dell’insicurezza e dell’autocompiacimento, chi non si è mai guardato allo specchio! Ma quanti di noi possono dire di aver davvero prestato attenzione all’immagine riflessa? Andateci ora, davanti allo specchio; inspirate ed espirate profondamente e, quando avete raggiunto una situazione di perfetta quiete, osservate. Cosa vedete? Se ciò che vi appare è qualcosa di familiare, qualcosa a cui voi, i vostri cari, la società dà ancora un nome ben preciso, allora l’esperimento non è riuscito. Non siete stati in grado di cogliere ciò che va oltre la forma, la sostanza aliena con cui tutti noi abbiamo inconsapevolmente a che fare: l’estraneo nello specchio.

Niente paura però, questa è una condizione di cecità- prima di tutto mentale- che accomuna molti, direi tutti. Pochissimi, infatti, sono gli attimi in cui riusciamo davvero a vederci per quelli che siamo. E sono per la maggior parte attimi di dimenticanza. È proprio quando ci scordiamo di essere qualcuno, che iniziamo a scorgere chi siamo davvero. Così presi dall’aderire alle aspettative che altri hanno di noi e che noi stessi non ci stanchiamo mai di alimentare, ci perdiamo in esistenze che non sono le nostre e viviamo vite di cui a volte ci sembra di essere solo spettatori.

Hanno ragione quelli che scappano, che si rifugiano in un mondo utopico, fatto di ricordi e lontananze: non si vive per corrispondere a un modello. E, del resto, cambiamo inesorabilmente giorno dopo giorno e siamo i primi a non rendercene conto; come possiamo pretendere che gli altri comprendano ciò che siamo davvero, se non ne siamo coscienti neanche noi stessi? 

Isolarsi e abbandonare tutto è una scelta vile o coraggiosa? Siamo chiamati a prendere una posizione: ci immergiamo nel mare della vita così come siamo, dimentichi delle convenzioni, delle conseguenze che i nostri gesti, che le nostre scelte hanno sugli altri, oppure ci cristallizziamo in quella che è una mera idea di noi, una sembianza di ciò che dovremmo essere.

È rassicurante e al tempo stesso allarmante constatare di essere privi di confini o definizioni, di poter essere, per noi stessi e per gli altri, uno nessuno e centomila. Uno, l’unità a cui ci sforziamo di ricondurci. Nessuno, la persona che davvero può dire di conoscerci. Centomila, i contesti che ci troviamo ad abitare e in cui emerge di noi ogni volta una sfaccettatura diversa.

Torniamo allo specchio; quello specchio che ci ha visti bambini e che ci vede crescere di minuto in minuto, limitandosi a restituirci impietosamente i segni del tempo, senza darci mai una risposta all’unica domanda per rispondere alla quale non basta una vita: chi siamo?

Non so se c’è effettivamente una soluzione a questo quesito. O forse la risposta è proprio questa, che possiamo scegliere noi, di volta in volta, chi e che cosa essere; che non esistono schemi predefiniti in cui dobbiamo necessariamente collocarci, a meno che non siamo noi stessi ad imporceli. Solo vivere, con la consapevolezza di avere sempre la possibilità di cambiare; anzi, con la consapevolezza che siamo per natura portati al mutamento. E accettarlo questo cambiamento, quando arriva. Non opporvi resistenza. Un po’ come il fluire dell’esistenza, il cui scopo non è quello di dare certezze, ma di demolirle. Perché la vita, quella vera, non dà risposte. La vita non conclude.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Post correlati

Al Sud il turismo non basta

Quante volte abbiamo sentito tra i tavoli dei bar, sulle panchine nei parchi, nelle piazze e purtroppo anche in tanti comizi e interviste di politici

Agnes

Il pomeriggio in cui conobbi Agnes era crudelmente arido.Era l’agosto dei miei dieci anni. Nella mia impressione del tempo, quel mese aveva l’effigie di solo

Los muertos esperan por tí

“I morti ti aspettano, pistolero” mi disse una bruja, in una balera di notte, “te queda un ultimo tango”. Lo disse sul ciglio della porta,

© All rights reserved PAROLAPERTA 2023