Laurearsi non è una gara

Qualche giorno fa hanno destato scalpore le notizie di due studenti capaci di laurearsi a tempo di record, anticipando tutti i loro colleghi e “capitalizzando l’anno della pandemia,
dando esami al posto di deprimersi”. Chiaramente, i media italiani hanno approfittato di questi due eventi per celebrare la dedizione e l’abnegazione dello studente e della studentessa, non accorgendosi però di aver fatto un enorme buco nell’acqua.

Voglio dirlo subito: laurearsi non è una gara. Il punto è che si è diffusa (specialmente tra gli adulti) l’idea contraria. Sono sicuro, infatti, che in tantissimi sarebbero pronti a fare un plauso a questi ragazzi che si sono laureati con così largo anticipo, finendo però col mortificare i loro stessi figli, che ugualmente si applicano e fanno tanti sacrifici per studiare, prima ancora
che per laurearsi.

Credo che tutta la comunicazione sia stata sbagliata nell’indirizzare il modo di pensare delle persone sul tema, ed è grave che ancora una volta debbano essere i giovani a scuotere le fondamenta di questo grande edificio chiamato “retorica“. Perché cos’è, se non retorica, tutta la narrativa sulla superiorità di chi si laurea in largo anticipo e viene celebrato – più o meno giustamente – per questo? Non è laurearsi con due anni d’anticipo a renderti una persona migliore di me, che mi laureerò in tre, quattro o, perché no, magari cinque anni. Non esiste una legge che impone il raggiungimento della laurea entro tre anni, quindi non mi spiego lo stigma sociale che uno studente deve sentirsi appiccicato addosso se non riesce a laurearsi “in tempo” (in tempo per cosa poi?).

Il problema di questa narrazione tossica attorno agli studi universitari è più radicato di quanto sembri, e puntualmente ricalca la classica superficialità all’italiana che si palesa nei
commenti dei post dei vari quotidiani su Instagram e che ci caratterizza in negativo. Analizzare gli argomenti più disparati sembra diventato improvvisamente un tiro al piattello:
chi la spara più grossa, vince. Le persone non guardano le sfumature di qualcosa, ma preferiscono concentrarsi sulla sua superficie. Il frutto di ciò è sempre lo stesso: sopravvalutare qualcosa per sottovalutarne un’altra. In questo caso, applaudire chi si laurea anzitempo – il che è più che giusto, se fatto senza mettere in competizione nessuno – per
svilire chi, semplicemente, senza sbalordire, si laurea.

Io sono solo al primo anno di università, però già ho iniziato ad avvertire questo tipo di pressione malsana. A volte mi sento con le spalle al muro, come se io avessi l’obbligo di laurearmi in tempo, pena il venir percepito come un pigrone, un imbranato, oppure una persona incapace a organizzarsi. Come se per uno studente universitario esistesse solo l’università.

Ma capisco che il mio discorso sia relativo. In fondo, ai media fa comodo diffondere questo tipo di notizie, perché generano dibattito, che a sua volta produce click, quindi introiti. Da aspirante giornalista, francamente li comprendo, ma non li capisco: preferirei sempre creare un dibattito su tematiche un po’ più degne di essere discusse. Per esempio, perché sul suicidio di Seid Visin non si è perso tempo a vedere come “strumentalizzata” la sua lettera di due anni fa? Chi lo dice che le parole di Seid non albergassero ugualmente nel 2021 nella sua testa, ed effettivamente lo avessero spinto a compiere il gesto estremo? Di certo, nessuno può sapere meglio di Seid il perché del suo suicidio, neanche suo padre, il quale però è immediatamente stato preso come capro espiatorio da alcune forze politiche e testate giornalistiche per eludere la possibilità che alla scomparsa del giovane sia legato l’odio razziale.

Del resto, non viviamo mica in un Paese razzista; non viviamo mica in un Paese dove fa più notizia laurearsi con due anni di anticipo “anziché deprimersi” che il suicidio di un ragazzo come me, oppresso da un’altra narrativa tossica che ci annebbia, quella del “se sei nero, stammi lontano”. Specialmente, non viviamo mica in un Paese dove fa sempre troppo comodo guardare solo un singolo punto di vista, piuttosto che tutti gli altri. O sbaglio?

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