Non c’è spazio per il cinema in Iran
Nei momenti di tensione geopolitica si ha spesso la sensazione che la produzione artistica sia il fenomeno maggiormente sacrificabile, all’interno di un contesto sociale che cerca di approfittare della complessità di un momento per togliersi dei sassolini dalla scarpa. La riflessione che voglio condividere è figlia della recentissima scelta di Mohammad Rasoulof, regista iraniano, di lasciare il paese per evitare l’ennesima incarcerazione. Stiamo parlando di un cineasta che ha già vinto l’orso d’oro a Berlino e che appartiene ad una generazione di cinematografi persiani capaci di impattare a livello mondiale sulla visione del cinema.
Già nel 2023 era stato nuovamente arrestato Jafar Panahi, con la solita accusa di andare contro il sistema politico del paese mediorientale. Il suo caso è ancora più affascinante se pensiamo che, durante il periodo di divieto di girare film nel suo paese, realizza “Taxi Teheran”, nel quale documenta la sua vita come tassista per qualche mese con i personaggi impersonati semplicemente dai suoi passeggeri. Una trovata geniale con la quale raccontare da dentro un paese che non vuole essere visto o farsi vedere, e tutto questo, senza considerare i rischi e le conseguenze dell’operazione. A questo punto bisognerebbe fermarsi un attimo:
(qui potete vedere taxi tehran) https://www.raiplay.it/video/2023/02/Taxi-Teheran-ef4027bb-79b5-41e3-8858-cbfdd7f1ef5b.html
se l’arte viene considerata socialmente come una cosa di scarso impatto concreto, prontamente eliminabile quando arrivano le difficoltà “reali” della vita; allora perché questa viene sempre sanzionata con una ferocia inaudita?
Come a dire, perché dare allora tutta questa importanza a ciò che si considera ignorabile. Io ritengo la ragione sia nella capacità dell’arte di essere l’unico modo per raccontare l’uomo nelle sue sfaccettature. Infatti le tematiche di repressione che vengono affrontate, possono essere comprese solo attraverso il medium dell’artista, che con il suo genio sa come elaborare escamotage rivoluzionarie per evitare di chinare il capo. Probabilmente anche la società occidentale ha le sue responsabilità nell’atteggiamento di passivo disprezzo con cui guarda le realtà diverse dalla propria. Basti pensare a quando Asghar Farhadi, altro regista iraniano, vinse l’Oscar, premio che tecnicamente non avrebbe potuto neanche ritirare poiché l’America aveva bloccato l’immigrazione dall’Iran.
Dunque è importante che queste vicende siano da monito per comprendere la rilevanza dell’arte nella capacità di influenzare l’avvenire, anche perché ricordiamo si tratti di culture che per quanto distanti, hanno una storia ultra-millenaria. Questa però, da sola non basta, serve consapevolezza e riconoscenza per capire che la libertà non è mai regalata e che il mezzo artistico è il suo spazio preferito in cui dimenarsi.