La vita è breve, eccetera di Veronica Raimo

Quando devo prendere un treno, ho l’abitudine di arrivare in stazione almeno un’ora prima, per due motivi. Innanzitutto, perché temo che qualche meteorite possa sfondare il tetto di Roma Termini e sbarrare la strada tra me e il mio binario, facendomi perdere il treno; poi perché mi piace fare colazione lì e fare un giro veloce nella libreria della stazione. A dicembre, quando ho comprato questo libro, l’ho fatto di fretta: l’ho visto lì, tra le nuove uscite, ancora incellofanato, m’ispiravano sia la copertina che il titolo. C’è una ragazza distesa a pancia in giù su un lettino, una sdraio forse, con la schiena nuda, le trecce bionde e lo sguardo perso, rivolto verso l’obiettivo. In secondo piano, ci sono due corpi, nudi, abbozzati e tranquilli. Rilassati.

Il titolo: La vita è breve, eccetera.

I protagonisti di quella foto li ho immaginati così, a prendere il sole, fumare un po’, sgranocchiare patatine e olive, a parlare della vita. Chiudendosi in considerazioni stanche, come: la vita è breve, carpe diem, vivi e lascia vivere, cantilene di frasi fatte a noleggio, conversazioni un po’ sfatte sulle questioni irrisolte della vita. Amori, passioni, amicizia, vita, morte, sesso.

Una volta sistemata la valigia sotto il sedile, mi sono seduta e l’ho tirato fuori dalla borsa e ho iniziato a leggerlo: una raccolta di racconti. Avevo già letto qualcosa di Veronica Raimo, e avevo apprezzato in particolare i toni taglienti e dissacranti, un po’ perennemente perculatori, perdonate il francesismo, e una ricchezza di punti e (spunti) di vista, mai scontati, mai sottintesi, mai perbenisti. Le protagoniste dei vari racconti sono un coro eterogeneo di donne, ognuna a modo suo, incasinate. Una scrittrice che scende a compromessi con l’anziana vicina perché, per qualche bizzarro affronto del destino, questo rapporto l’aiuta a scrivere il suo romanzo. Una ragazza che parte negli Stati Uniti per una fiera e viene ospitata da un’ambigua famiglia che la crede una lontana nipote italiana, una giornalista che ha intrecciato un rapporto epistolare con una donna americana e si trova in un trullo a intervistare un guru-eremita.

Ogni racconto è una sbirciata veloce nelle vite delle protagoniste, un’occhiata dal buco della serratura, da cui s’intravede l’incomprensibile casualità che intesse relazioni e mette in subbuglio. Casualità che irrompono scombinando le pedine sulla scacchiera, prendendosi gioco dell’ordine e l’equilibrio che, bene o male, ognuno si cerca di costruire. La protagonista de Il dono, ad esempio, trova un cetriolo infilato in un preservativo sullo zerbino. Quella de La scossa, viene colta in flagrante dal terremoto mentre si trova con il suo amante.

Il centro di gravità che attira a sé ogni storia è un turbine che pone le basi per una serie di domande: come si dovrebbe vivere l’amore? E il sesso? Il tradimento? Come si supera la vergogna? Esistono rapporti giusti o sbagliati o ad esserlo sono solo le circostanze? Quanto di ciò che accade nelle nostre vite è sotto il nostro controllo?

Domande che restano lì, a inseguirsi in questo vortice irrisolvibile.

E nell’incapacità di decifrare la vita, possiamo sempre affidarci alle care vecchie frasi fatte. Che poi magari, in certi casi, c’azzeccano pure.

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