Credere in qualcosa è importante. Avere una propria visione delle cose, un proprio credo, oggigiorno è sinonimo di autenticità, indica una coscienza dei propri mezzi ben precisa. Sapere cosa fare è necessario per creare bellezza. Quando guardiamo un quadro di Picasso, riflettiamo sull’abilità e il genio del pittore spagnolo, osserviamo una qualità rara nella sua arte. Picasso diceva: “L’arte è una menzogna che ci consente di riconoscere la verità“, ma qual è davvero la verità? Mi piacerebbe porre questa stessa domanda a Carol Christian Poell.
La moda forgia inevitabilmente la cultura pop, cambia le persone e soprattutto il loro guardaroba. Carol Christian Poell, però, lavora a monte. Lui è semplicemente il più importante designer di cui non hai mai sentito parlare. La fama non è una condizione da ricercare, per Poell, nato a Linz, in Austria, nel 1966. Quando disegna i suoi vestiti, non lo fa certo per immaginarseli addosso a Bella Hadid o Luka Sabbat. Lui fa moda per generare un contrasto, nel gioco delle dicotomie che lo ha affiancato sempre: vita e morte, caos e ordine, una costante lotta in precario equilibrio, dove nessuno prevale davvero sull’altro.
La sua formazione è prettamente artigianale. Cresce in una famiglia di conciatori di pelli, e così assorbe tutti gli insegnamenti che lo renderanno tra i più sapienti e innovativi designer del mondo. Già alla fine degli anni ’90, poco tempo dopo il suo debutto, Carol Christian Poell era riconosciuto come uno dei più attenti nella ricerca dei materiali, nella sperimentazione sui vestiti. Molti designer hanno saputo trovare il successo fin da subito, perché le persone volevano vestire le loro creazioni. Con Carol Christian Poell tutto è stato molto diverso, perché possiamo ammettere che provare repulsione per una creazione del designer austriaco non è così difficile. Pensiamo alla cravatta composta interamente di capelli umani, o alla borsa prodotta partendo da un maialino vero, impagliato e riadattato come accessorio. Sono item disgustosi eppure affascinanti da vedere. È un po’ come quando si guarda un film horror: non si può fare a meno di osservare cosa succede, anche se tra le fessure delle dita poste naturalmente davanti agli occhi per la paura. Lo stesso si potrebbe dire per le sue derby shoes, o le sue drip sneakers, o i pantaloni realizzati con un unico pezzo di tessuto. Sono evidentemente brutti e grotteschi, figli del filone anti-fashion a cui appartengono CCP e altri designer, eppure così ipnotici nelle loro sembianze.
Quello che attrae di Carol Christian Poell è il significato dei vestiti da lui pensati. Il suo mantra è ben specificato dalla sua stessa storia, perché effettivamente non ci sono moltissime interviste o contributi orali o scritti del creativo. Si dice che viva da qualche parte a Milano, zona Navigli, ma pochissimi sanno veramente che aspetto abbia Poell. Quest’aura misteriosa non fa che incrementare il suo grande fascino, ovviamente. Ciò che è sconosciuto è sempre più intrigante di quello che è noto, è una realtà – più che una legge – vecchia come il mondo. Se conosciamo una persona che non ha i social network, penso sia naturale restare rapiti da questa sua decisione, perché agire al contrario rispetto alla moda genera interesse.
Quello che spiega il cammino di Carol Christian Poell è stato decifrato nel tempo dai significati delle sue stesse collezioni, rilasciate a cadenza irregolare, come un artista che rende pubbliche le sue opere senza sottostare a scadenze precise, esibendosi solo quando sente il bisogno di farlo. Poell fa vestiti per il corpo umano, non per il mio o per il tuo. A lui interessa la fisionomia dell’uomo, ed è per questo che i suoi vestiti nascono per diventare una cosa sola con chi li indossa. Non è raro, infatti, sentirsi scomodi negli abiti di Carol Christian Poell. Non è raro farsi male vestendoli, soprattutto non lo è romperli dopo averli indossati solo una volta. Poell pensa ai vestiti come a una seconda pelle, senza che questa sia necessariamente confortevole su di noi, e al corpo come a un volume, una forma tridimensionale.
Il suo pensiero è ramificato anche nel modo in cui organizza le sue collezioni. “Self Edge” e “Dead End” sono due famiglie di creazioni ben definite: nella prima i vestiti sono prodotti con un utilizzo estremo dei materiali necessari, assemblati – letteralmente incollati, anzi – in modo compatto, volutamente stretto, il che aumenta il peso e la scomodità dei vestiti stessi. La seconda, invece, è esattamente il contrario: i vestiti sono cuciti in maniera incompleta seguendo un’antica tecnica che crea catene di cuciture vere e proprie fino al punto che i tessuti non si incontrano mai. Quello che voleva comunicarci il designer con questa collezione era chiaro: brutalità e fragilità sono due facce della stessa medaglia.
Oggigiorno siamo abituati al fast fashion, vestiti low-cost fatti con tessuti di bassa qualità, venduti a un prezzo modesto. È la morte della moda vera e propria, derivata dell’arte. L’arte non è mai stata per tutti, anzi, ha sempre ostentato la sua anima elitista ed esclusiva. Per questo motivo, il lavoro di Carol Christian Poell può essere definito arte vera e propria. Nasce e vive in eterno, senza accodarsi a nessun trend. Segue solamente il pensiero del suo enigmatico creatore. E chiaramente, è realizzata prestando la massima attenzione a ogni dettaglio. Carol Christian Poell non lascia niente al caso: i materiali delle sue creazioni, dalle pelli ai tessuti per il tailoring, sono di qualità altissima, e sono prodotti seguendo il way of thinking del suo ideatore. Nel corso della sua quasi trentennale carriera, Poell è passato dal lavorare con pelli di canguro e di cavallo, all’iniettare colori nelle vene degli animali che voleva usare per i suoi vestiti – sebbene non ci siano conferme ufficiali della messa in atto di questa pratica – per osservare da vicino come avrebbe potuto influenzarne lo sviluppo. Non c’è niente di etico in tutto questo, ma nessuno dovrebbe pensare all’arte in questo senso.
Anche la presentazione delle collezioni di Poell è ovviamente influenzata dal suo gusto per il macabro. Il tema della morte, dell’anima, del corpo stesso, come visto, ha sempre avuto un magnetismo particolare sul designer austriaco, che in passato ha esposto in un macello, in un canile o in un obitorio le sue creazioni. Tuttavia, la sua presentazione più celebre risale alla stagione Primavera Estate 2004, durante la quale Poell sceglie Milano per mostrare al mondo, per la prima volta, la sua ultima collezione. La sua idea è tanto semplice quanto complessa: fa calare i modelli, vestiti, nel Naviglio Grande, e li fa trascinare dalla corrente, con i vestiti che finiscono ovviamente per sgualcirsi. Per una volta, i protagonisti non sono gli abiti, ma è proprio il senso di questa idea: Poell va al contrario, e intitola “Mainstream-Downstream” la collezione. Lui non segue le tendenze della moda comune, quindi lascia che i modelli si facciano cullare dal flusso dell’acqua, ovunque questo decida di portarli. Come se non bastasse, Poell non invita nessuno alla sfilata. Tutti gli interessati possono semplicemente affacciarsi al Naviglio e vedere il passaggio dei modelli spinti dalla corrente. All’epoca la critica si divise per questa “sfilata alternativa”. Molti lodarono lo spirito anticonformista di Poell, ma tanti altri furono avversi alla scelta del designer austriaco, sostenendo come questo fosse solamente uno spettacolo indecoroso.
Carol Christian Poell ha sempre seguito il suo credo, la sua filosofia, e solo per questo meriterebbe gli attestati di stima di tutti. Se oggi possiamo parlare di avant-garde fashion, è soprattutto per merito suo. I suoi vestiti, innegabilmente, non sono per tutti, eppure va bene così. Poell fa arte e non tutti possono comprenderla. A differenza delle sue creazioni, questo sì che è perfettamente normale.