Il senso della Felicitá

ovvero perché devi volere di piú

Per un interessante equivoco, si parla della felicità come qualcosa di sfuggente, puoi vederla balenare nell’aspetto di tante situazioni o persone, ma rimane un miraggio. Il tutto perché non ci credi abbastanza, non ti impegni abbastanza, non ti meriti abbastanza, la vita è terribile eccetera…
Quello che penso é che, da un po’ di tempo a questa parte, sperimento (fenomenologicamente) sulla mia pelle, è che la felicità non è altro che uno dei sensi attraverso cui percepiamo il mondo. Al pari del gusto, dell’olfatto, della vista, del tatto e dell’udito anche il senso della felicità “ci avverte” quando qualcosa può procurarci del bene o del male: nei cinque sensi “l’avvertimento” consiste in impressioni sensoriali gradevoli o sgradevoli (l’odore di un cibo, la temperatura di un oggetto), nel senso di felicità consiste invece in sentimenti di gioia o tristezza o noia al pensiero di fare una determinata cosa.


Spesso, con il processo di crescita, l’entrata in società, lo scontro con il mondo degli altri, il nostro io teme la propria felicità, crede che se davvero vi si dedicasse non potrebbe più porre freni all’egoismo, alla pigrizia e ad ogni genere di licenze, trasformando il senso della felicità in senso di colpa. “Chi andrebbe più a lavorare se…”, “cosa succederebbe se tutti…”, frasi sentite e risentite, le quali nascondono unicamente timore, timore che se ci mettessimo a fare ciò che veramente ci piace straremmo, indubbiamente, meglio e se stessimo meglio, indubbiamente, inizieremo a liberarci di tutte quelle catene e costrizioni che nel corso del processo di adultificazione abbiamo deciso di fare nostre per paura e/o debolezza, e per conseguenza, il mondo intorno a noi inizierebbe a cambiare, così come le persone che ci stanno intorno. Quegli elementi che si reggevano in equilibrio sulla nostra sottomissione, improvvisamente inizierebbero a ribellarsi e ad andare contro di noi, in orrore al nostro riscoperto senso della felicità.


Questo senso è ben riconoscibile nei bambini piccoli, e molto probabilmente la natura o chi per lei aveva disposto che questo senso si affinasse sempre più durante la crescita. Invece esso, viene snaturato, deviato, accecato, fino a trasformarsi in quel senso di colpa che di per sé, è precisamente l’espressione di essersi rassegnati a considerare il nostro senso della felicità come un elemento di disturbo nella vita delle persone “normali”, dove normali sta appunto per senza speranze, perfettamente integrate in un mondo che per loro è composto più da limiti che da orizzonti, più da pericoli che da opportunità.

Il ridestarsi del senso della felicità comporta in ogni individuo lo stimolo a volere qualcosa di più che prima non si poteva sperare o immaginare, risultato destabilizzante per l’ordine sociale, più di qualsiasi rivoluzione. Ridestando il senso della felicità ci consentiamo di condurre una vita più sana, più interessante, più creativa di quella che solitamente l’ordine sociale ci consente, ma anche di avere intuizioni che, considerate a posteriori, si dovrebbero definire addirittura veggenza: guida infatti verso scoperte e fortune che la mente, di per sé, non sarebbe stata in grado né di prevedere in alcun modo, e spesso nemmeno desiderare, e che contrastano vertiginosamente con tutto quello che fino a quel momento ti sembrava giusto e avevi deciso di farti imporre dagli altri, per adeguarti al loro mondo soffocato. Come già detto, vi è nel senso della felicità una nozione di onnipotenza tipica dei bambini che altro non è che l’intuizione- precisa e utilissima- che nulla di quel che tu ti accorgi di volere ti sarà mai impossibile, e non perché una qualche facoltà magica agisca a tuo favore, ma perché tu, tu hai dato forma al tuo mondo accettando imposizioni e scelte che non erano le tue, tu hai stabilito e continui a stabilire nel mondo che cosa ti sia possibile e che cosa non lo sia: e il desiderio, quando è il senso della felicità a guidarlo, ti guida verso ciò che nel tuo mondo è possibile, anche quando il tuo lato cosciente- il tuo tu- non può ancora o non vuole ammettere che lo sia.

E ciò che si spiega anche Cristo nei vangeli: “Chiedete e vi sarà dato” “ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio” eccetera. E tale onnipotenza è d’altronde dimostrata quotidianamente nella vita di ciascuno. Si noterà, infatti, che nel “chiedete e vi sarà dato” è sottinteso l’elemento decisivo: IL VOLERE. E dunque anche il non volere. Sta a te: la tua onnipotenza nel mondo, il tuo “chiedere” avrà comunque grande successo, sia che tu desideri e chieda quel che davvero vuoi, sia che tu desideri e chieda quello che in realtà non vuoi affatto. E questo secondo caso è di gran lunga più frequente del primo, dato che per di più le persone, temendo troppo la felicità, ed essendo certe di non meritarla, si rassegnano a chiedere e a ottenere cose a loro del tutto superflue o dannose.

IO FACCIO CIO’ CHE VOGLIO
NON VI E’ OPPOSIZIONE IN ME

dice l’iniziato nei Testi delle Piramidi, nel Discorso delle due vie. L’iniziato, secondo gli egizi, era chi- una volta tornato ai suoi inizi, una volta recuperato il senso della felicità del bambino- sa che tu fai sempre ciò che vuoi, senza che possa opporvisi il mondo intero, che è per te ciò che tu hai voluto che fosse; ogni circostanza del tuo agire, ogni possibilità che ti si apre, sono e saranno sempre quelle che l’orientamento del tuo volere ti ha permesso di vedere e immaginare, e non altre; ma proprio perché sai tutto questo, e perché da ciò che ora stai facendo e volendo conosci te stesso, tu puoi scorgere e superare i limiti attuali del tuo volere, e vedere cos’altro c’è, in te e nel mondo intero, oltre quello che per ora sei riuscito a volere. E ciò è troppo per una persona che cerchi di essere “normale”. Se un “normale” lo prendesse sul serio, cosa resterebbe di quel che ha oggi? Non il compiangersi, né l’invidia, né l’accidia, né la gola, né l’avarizia, né la lussuria, né tantomeno l’ira. No limiti, ma orizzonti.

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