È Narendra Modi, si candida per il suo terzo mandato da presidente dell’India e i sondaggi lo danno avanti di oltre 40 punti alle elezioni di maggio. A sfidarlo una coalizione di 24 partiti. In ballo il futuro dell’economia globale e la diversità culturale di un paese che sarà assoluto protagonista del secolo a venire.
Il candidato
Modi si presenta come un leader di umili origini. Un uomo del popolo in lotta contro le vecchie élite corrotte e fiero della propria identità induista. Si esprime con linguaggio autentico, diretto, poco burocratico ma quasi mai aggressivo. Ha l’autorevolezza classica degli uomini di stato novecenteschi ma incarna nelle proprie policies molte delle tendenze principali della politica moderna.
È il candidato del partito nazionalista Indù (BJP) che è al potere dal 2014. Nei due mandati precedenti ha sostituito il classico paradigma multiculturale, su cui storicamente si basava la costituzione indiana, con un assioma nazionalista, fondato sul culto della personalità e sulla centralità della religione induista, maggioritaria nel paese.
Le tre rivoluzioni
I nodi fondamentali del successo politico di Modi sono tre: il rafforzamento del nazionalismo induista, l’ascesa economica, e la stretta sulle libertà civili.
Fin dalla sua nascita nel 1947 l’India basa la propria stabilità sulla pacifica coesistenza di etnie diverse. Questo mosaico culturale molto vasto può essere generalmente riassunto nella contrapposizione tra la maggioranza induista, circa l’ottanta per cento della popolazione, e la minoranza mussulmana, circa centoventi milioni di individui. Modi, fin dal suo primo mandato, ha iniziato a erodere questo sottile equilibrio. Questo febbraio, ad esempio, dopo anni di dispute legali, ha inaugurato ad Ayodhya il tempio del dio Rama, sorto sulle macerie di una moschea rasa al suolo nel 1992 da fanatici indù. Il gesto, che ha ufficialmente dato il via alla sua campagna elettorale, è il simbolo più evidente della volontà di instaurare nel paese una nuova ideologia dominante fondata sull’orgoglio induista e sul nazionalismo, con conseguente timore da parte delle minoranze mussulmane che temono la ghettizzazione e la persecuzione.
Il secondo punto, se possibile ancor più importante, riguarda l’economia. L’india è il paese più popoloso al mondo e secondo le previsioni generali è una delle poche economie il cui PIL crescerà a un tasso uguale o superiore al 6% nei prossimi dieci anni. La sfida alla Cina e agli stati uniti è aperta. Mentre il paese cerca di reinventarsi come nodo cruciale delle catene di approvvigionamento globali, infatti, molte aziende iniziano a delocalizzare qui la propria produzione. C’entrano politiche volte ad una forte concentrazione del capitale, nella speranza di creare grandi conglomerati in grado di competere a livello globale.
Modi in questo senso sta investendo moltissimo. Una delle caratteristiche fondamentali della sua reputazione come leader sta proprio nell’affidabilità economica. Fin da quando era governatore, infatti, ha sempre cercato di restituire l’idea del leader pragmatico, conservatore nelle politiche sociali ma innovatore in quelle economiche. Questo atteggiamento gli è valso un discreto successo reputazionale, soprattutto all’estero. L’india ha infatti recentemente presieduto il G20 e Modi ha sfruttato l’occasione per accreditarsi come interlocutore credibile a livello globale ma soprattutto per accrescere la propria popolarità interna, tanto che molte televisioni e giornali in india nelle settimane successive si riferivano al presidente come al “leader del mondo”.
Infine, per un’economia in decollo, ci sono libertà civili in costante arretramento. Oltre alle limitazioni legate al culto, infatti, Il governo di Modi ha colpito sistematicamente gli avversari politici e la stampa indipendente, servendosi della concentrazione di potere fornita dagli apparati statali per minare l’indipendenza dei leader dell’opposizioni e screditare il lavoro dei giornalisti dissidenti. Il tutto con accuse che in molti casi si sono rivelate pretestuose se non infondate. Sebbene Modi abbia un livello di gradimento senza precedenti, infatti, esiste un fronte di opposizione al suo governo. Si chiama INDIA (Indian National Development Inclusive Alliance) e riunisce 24 tra partiti e movimenti capitanati dallo storico partito del congresso. Il suo leader più in vista è sicuramente Rahul Gandhi, anche se non c’è certezza sul nome che verrà presentato alle presidenziali di maggio.
Il più grande paese di cui non sappiamo nulla
L’india sarà un attore geopolitico fondamentale per i decenni che verranno. Il ruolo di Modi su questioni come la sicurezza energetica o il cambiamento climatico si è già rivelato cruciale in questi anni e la concentrazione di potere e consenso nelle sue mani sono pezzi importantissimi per comprendere il nuovo scacchiere internazionale. In un mondo sempre più multipolare, le elezioni di maggio ci consegneranno un responso importante sulla tenuta e la salute della più popolosa democrazia del pianeta con conseguenze che andranno ben oltre Delhi e i suoi confini.