Vita e guerre di Enrico VI imperatore
A tutti è noto Federico II di Svevia, l’eccelso imperatore germanico, Stupor Mundi, che tanto amò l’Italia, soprattutto il suo meridione. Ma sul grande palcoscenico un posto più in ombra, lontano dagli sguardi del pubblico, è toccato a Enrico VI, padre di Federico II.
Enrico VI era figlio di Federico I, detto il Barbarossa, il bellicoso imperatore che rase al suolo Milano e venne sconfitto dalla Lega Lombarda a Legnano. Personalità poliedrica, Enrico dimostrò di possedere la stessa virtù guerresca del padre e la grande cultura che dimostrerà suo figlio. Probabilmente, però, non possedeva abbastanza di entrambe, motivo per cui passò alla storia come un sovrano dispotico e crudele invece che come patrono delle arti. Come se non bastasse, si trattava di una persona sospettosa e diffidente a tal punto da inimicarsi tutti i suoi vassalli, continuamente vessati da accuse, condanne ed esecuzioni mosse dall’irrazionale paura dell’imperatore che essi potessero dar vita a tradimenti e insurrezioni.
Messi in chiaro questi elementi imprescindibili per conoscere la traiettoria del figlio del Barbarossa, dobbiamo dire che la vita di Enrico VI non fu affatto facile: fin dalla nascita, avvenuta a Nimenga nel 1165, si trattò di un vero e proprio percorso ad ostacoli.
Il piccolo Enrico fu eletto re dei romani (di Germania) ad appena quattro anni, per volontà del suo potentissimo padre, desideroso di assicurare la continuità della propria dinastia. Cosa non scontata per un nobile del tempo, a Enrico fu impartita una ricca formazione nelle arti liberali: egli conosceva perfettamente il latino e il diritto romano e dimostrò di essere tanto portato per gli studi che amava dilettarsi nella composizione di canzoni e componimenti vari secondo gli stilemi dell’amor cortese.
Oggi non conosciamo Enrico come poeta, ma sicuramente nel corso del medioevo egli era conosciuto quale grande letterato, tanto che nel XIV secolo la famosa antologia di poesie, il Codex Manesse, si apre proprio con un componimento dalla penna dall’imperatore germanico, accompagnato da una sua miniatura.
Il giovanissimo sovrano fu iniziato alle arti belliche con grande zelo del padre, che già all’età di 10 anni lo portò nell’Italia settentrionale, a quel tempo teatro dell’aspro conflitto che opponeva le truppe imperiali a quelle dei comuni italiani e successivamente, a quelle di Enrico di Sassonia, fratello del Barbarossa e zio del piccolo Enrico.
Come era usuale all’epoca, il matrimonio di Enrico con la trentenne Costanza di Altavilla, figlia del re di Sicilia Ruggero II, avvenne senza che lui avesse voce in capitolo, il 27 gennaio 1186. Ratio dello sposalizio era portare in dote al Sacro Romano Impero la Sicilia, mossa dovuta per poter circondare lo Stato Pontificio.
I papi del tempo, Lucio III e Urbano III, ovviamente, non furono propriamente entusiasti dell’unione dinastica e cercarono di osteggiarla in ogni modo; ma nulla potevano contro la potenza militare e politica di normanni e germanici.
Con il matrimonio Enrico divenne erede al trono di Sicilia, momento topico della sua breve vita.
Nel 1189 Federico Barbarossa partì in Terrasanta per combattere Saladino. Questi aveva appena conquistato Gerusalemme mettendo a repentaglio la sopravvivenza dei regni crociati in Medio Oriente. Enrico VI invece rimase in Italia, dove molte altre forze insidiavano la sua posizione; tra esse, la Toscana era teatro di scontro contro le forze papali per il predominio. Nel 1191, invece, giunse la notizia della morte dell’imperatore, avvenuta per annegamento durante il guado di un fiume in Cilicia; non era neppure giunto nelle terre del Saladino. In compenso, però, la morte dell’imperatore germanico consentì a Enrico di prendere il titolo imperiale e farsi incoronare a Roma da papa Celestino III, il 15 aprile 1191.
Controllare la Germania non fu un grosso problema per Enrico, la vera sfida fu ottenere il dominio sulla Sicilia; impresa che ebbe un grandissimo costo in tempo, denaro e sangue. I nobili normanni, da tempo insediatisi in Sicilia, non accettavano un sovrano straniero e quindi incoronarono un loro re, Tancredi di Altavilla. L’imperatore non poteva accettare tale insurrezione che minava il suo controllo sulla penisola, quindi scese nel meridione con l’esercito. L’esercito imperiale conquistò rapidamente Capua ma dovette faticare per prendere Napoli, difesa sulle mura e sul mare dalla flotta normanna che sbaragliò gli alleati dell’imperatore genovesi e pisani.
Come avevo anticipato la vita di Enrico fu una corsa ad ostacoli; infatti, dopo il sanguinoso scontro a Napoli giunse all’imperatore una buona nuova che tuttavia ebbe infauste conseguenze: il duca d’Austria Leopoldo aveva fatto prigioniero Riccardo Cuor di Leone il 23 dicembre 1192, mentre il re inglese tornava dalla Crociata.
Il re d’Inghilterra era inviso ai tedeschi per svariate ragioni: aveva sostenuto Tancredi contro Enrico, aveva assassinato Corrado del Monferrato (alleato dei tedeschi) a Tiro e, smacco personale per il duca Leopoldo, aveva gettato dalle mura di Acri le insegne del duca d’Austria.
Imprigionare il sovrano crociato costò a Enrico VI la scomunica papale. Nonostante ciò, però, il re Riccardo non fu libero finché l’imperatore non ottenne, il 4 febbraio 1194, il pagamento del faraonico riscatto di 150mila marchi d’oro da Eleonora d’Aquitania, madre del re inglese. Con le casse ben rimpinguate, Enrico poté ridiscendere in Italia con un potentissimo esercito, dove colse l’opportunità della morte improvvisa di Tancredi per calare sui suoi confusi oppositori e spazzarli via, affermandosi come unico e indiscusso re di Sicilia, nel giorno di Natale del 1194.
Sconfitto chi insidiava il suo trono, Enrico pensò di assicurare la successione di suo figlio, il piccolo Federico II, nato a Jesi il 26 dicembre, poche ore dopo la sua incoronazione a re di Sicilia. L’imperatore tentò allora di rendere ereditario il suo titolo, a quel tempo elettivo. Per farlo, tentò un accordo con il papato e i conti di Germania, ma le trattative si arenarono.
Nonostante ciò, Enrico era all’acme del suo potere: progettava una nuova crociata e la conquista dell’Impero Romano d’Oriente; pretese e ottenne un tributo dal Basileus bizantino Alessio III ma sbarcò ugualmente a Durazzo con le truppe. Durante questa impresa l’Imperatore diede il peggio di sé, forse colto dalla follia. Iniziò a vedere cospirazioni ovunque e condannò a morte numerosi presunti traditori. A porre fine alle purghe fu Costanza, moglie di Enrico, che avvelenò il suo folle marito, morto a Messina il 28 settembre 1197, all’età di 31 anni.