Sanremo è finito da due settimane, ma c’è chi ancora stenta a capacitarsene. Io sono fra questi. Continuo, sconsolata ed irrimediabilmente nostalgica, a scorrere Instagram alla ricerca di meme, a riguardare le esibizioni, ad ascoltare senza sosta le stesse canzoni, consapevole che arriverà il momento in cui non riuscirò più a sopportarle.
Avverto una certa responsabilità a scrivere di Sanremo. La mia settimana preferita dell’anno mi vede coinvolta emotivamente da anni, ormai. Ho ancora conservati, a casa, i cd che chiedevo ai miei genitori di acquistare per me alla fine di ogni edizione. Al liceo, mi appropriavo del gessetto per ricordare ai miei compagni di classe che lo start del Festival era imminente. Costringevo i miei amici a guardare le serate con me, tanto da farli, inaspettatamente, appassionare.
La settimana santa è preceduta, in realtà, da diverse fasi di preparazione. Si parte con Sanremo Giovani e si passa all’annuncio al tg dei nomi dei big. A quel punto inizia la trepidante attesa, che conduce all’attenta analisi delle opinioni dei giornalisti in seguito al loro primo ascolto in anteprima. (Sottolineo che questo passaggio è necessario in vista della creazione di un account Snai con cui scommettere e di una personale classifica di pronostici da pubblicare sul proprio profilo Instagram.) Qualche giorno prima dell’apertura della kermesse, ci si reca con grande entusiasmo in edicola e si compra lo speciale “TV Sorrisi e Canzoni”, con le interviste ai partecipanti e i testi di tutte le canzoni in gara- anche in questo caso l’obiettivo è rendere quanto più realistiche possibili le proprie aspettative. Infine, il Fantasanremo: scelta dei capitani, scelta dei componenti del team, invenzione di un nome sufficientemente trash (il mio era: “Justin, pecché no Napoli?”), condivisione del codice della lega con le persone giuste. Dopo sette giorni, arriva il momento delle questioni meramente organizzative: martedì vieni da me, mercoledì vengo da te, giovedì lo vedo sola, venerdì raggiungiamo Claudia, sabato tutti a casa mia. Naturalmente, il menu delle varie serate deve essere prestabilito, in modo da non arrecare perdite di tempo e poter mangiare una pizza mentre si è già seduti davanti alla TV; credo di non dover evidenziare il fatto che una vera appassionata si posizioni sul divano non alle 20.45, bensì alle 20.35, subito dopo il Tg, così da non perdere l’anteprima del Festival. Eccoci: inizia lo spettacolo.
La 72esima edizione è stata la prima che ho seguito senza mamma, papà e i miei amici di sempre. Ed è stata la prima in cui non mi sono trovata a discutere con i più grandi della famiglia sui gusti musicali necessariamente differenti. Al telefono, alla domanda “Hai guardato Sanremo?”, mi sono sentita rispondere con apprezzamenti ad Elisa e con le solite critiche ad Achille Lauro a torso nudo; certe cose non cambiano mai. Per quanto mi riguarda, la SNAI mi ha regalato soltanto tre euro e i miei pronostici erano per il 50% sbagliati. Eppure, mai come quest’anno ho avvertito il senso di comunità che la manifestazione musicale più importante e conosciuta in Italia è capace di suscitare. Sarà stato anche merito del Fantasanremo, che ha portato mio zio a dover spiegare a mia nonna il motivo per cui, dal nulla, gli artisti salissero sul palco urlando “Papalina”, salutando zia Mara o facendo un atto d’amore del tutto disinteressato attraverso il dono di un mazzo di fiori ad Amadeus. In effetti, la competizione che si è scatenata sul web, commentata su Twitter e Instagram, ha convinto anche i più restii a seguire il Festival, per scoprire chi avrebbe fatto guadagnare più punti al loro team. Io, nel frattempo, mi godevo soddisfatta la conversione dei miei amici all’ossessione sanremese.
La terza avventura capitanata da Amadeus ha portato a casa oltre il 60% di share. Le canzoni piacciono tutte, da “Chimica”, che resta in testa sin da subito, a “Brividi”, con il suo meritato trionfo, a “Ciao Ciao”, che ha segnato il ritorno energico de La Rappresentate di Lista. Dargen D’Amico parla di dance in un canto liberatorio contro le ennesime restrizioni dei live, Rkomi paragona amore e motori, Tananai decide di smetterla con il sesso occasionale, Morandi arriva terzo grazie all’allegria della scrittura di Jova, Elisa e Michele Bravi commuovono, Moro si aggiudica il premio miglior testo. A prescindere dai risultati televisivi, che restano comunque indicatori fondamentali, la vittoria più grande è stata, senza ombra di dubbio, vedere milioni di italiani ritrovati nelle case per un evento televisivo, come non accadeva da tempo. Come non accadeva, forse, da due anni. Vederli uniti, coesi, non polemici- o, per lo meno, molto meno di quanto accade usualmente-, tutti presi ad accumulare punti o a commentare voracemente la musica, tornata in primo piano. Sanremo ci ha fatto ricordare quanto sia forte il nostro bisogno di stare insieme. Magari a cantare e urlare e bere e ridere, magari sotto un palco, magari ad abbracciarci senza più paura di toccarci. Quanto manca alla fine della fine del mondo?