POTREBBE DAVVERO SERVIRTI RICONDIVIDERLO?
Ultimamente mi piace pormi delle domande lasciando che le risposte con i loro tempi, salgano a galla da sole.
Ce n’è una, però, che non ho ancora risolto: perché rendiamo la rabbia tanto virale sui social network? Condividendo tra le storie un post di attualità siamo improvvisamente sopraffatti da una strana sensazione di stizza e soddisfazione insieme, che ci rende fieri del nostro contributo. Così diventiamo subito conoscitori del tema e tutti devono saperlo.
Qualche settimana fa la notizia della sentenza della corte suprema americana in merito all’aborto mi ha pervasa; mi sono sentita colpita in prima persona, ho fatto accesso su Instagram e ho iniziato a distribuire like a qualsiasi post parlasse di quanto accaduto. Poi ho aperto Twitter e mi sono capitati tanti altri contenuti, tra cui quelli di chi non la pensava come me.
L’odio cresceva, diventava contagioso, mi sentivo in dovere di dire la mia e avevo sempre più bisogno di leggere nuovi tweet per sentirmi parte di quell’ondata di notizie. Così l’ho fatto, ho scritto, ho pubblicato subito un post e ho continuato a scrollare.
Ma perché lo stavo facendo?
Ho lasciato passare un po’ dì tempo fino ad arrivare a questo momento. Il post che avevo scritto l’ho eliminato dopo un po’, non perché la mia reazione fosse stata sbagliata, ma perché avrei voluto ascoltarla meglio ed essere meno impulsiva.
Ho voluto darmi tempo per pensare, per informarmi, per far maturare la notizia dentro di me e confrontarmi davvero con qualcuno.
Voglio provare a rimanere informata, sviluppare un pensiero critico, sì, ma senza lasciarmi sopraffare dall’indignazione.
Riflettendo, sono arrivata a pensare che a volte questo doomscrolling provoca in me anche un senso di smarrimento, quella sensazione di sapere poco di tutto, di non essere pronta ad affrontare un tema in una discussione con amici o parenti senza cadere nelle solite banalità.
Del resto però, penso, l’elaborazione di un proprio punto di vista su un tema di attualità deve partire dal presupposto che certi processi globali siano fin troppo complessi per poter essere compresi a pieno senza un minimo sforzo. Bisogna sentire un iniziale senso di smarrimento, credo, non essere subito sazi di conoscenza e trovare dentro di noi quella leva che ci stimola a cercare di più.
Vorrei allenare il mio pensiero critico, disintossicarmi da ciò che appiattisce e rende superficiale; vorrei che le scuole allenassero a vivere l’attualità perché restare informati è più faticoso di quanto sembri e richieda educazione, rispetto, curiosità e fatica.
Vorrei che le notizie del giorno prima non diventino solo un vecchio gioco nelle mani di un bambino viziato e capriccioso che ha bisogno di confermare la propria immagine sociale per vestire perfettamente i panni dell’attivista performante. Mi piacerebbe invece che le notizie del giorno prima diventassero la base della conoscenza di un cittadino consapevole del tempo politico in cui vive e libero di agire attivamente rispettando i propri ideali.
Inchiodare il pubblico al silenzio: “Le Amarezze“, da Koltès a Adriatico
“La carne è incompatibile con la carità: l’orgasmo trasformerebbe un santo in lupo.” E. M. Cioran, “Sillogismi sull’amarezza”, 1952 Nell’attualità della cultura europea, ormai