E la salute mentale?

L’art 32 è sicuramente l’articolo della costituzione più in voga nel biennio covid; volendone però fare un’analisi più approfondita, il sospetto è che si sia guardato alla norma tralasciando alcuni aspetti. Primo tra tutti: l’interpretazione parziale del concetto di “salute”, inteso con esclusivo riferimento alla salute fisica. La Costituzione dell’Oms precisa con chiarezza che “la sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. Parlando di salute è dunque necessario prendere in considerazione ben tre aspetti: fisico, mentale e sociale.

È chiaro che davanti ad una crisi che coinvolge direttamente la salute fisica dei cittadini, le politiche si siano costituite primariamente di una tutela legata a questo specifico aspetto, ma è stato anche presto evidente (e ad oggi lo è certamente) che la crisi pandemica è un mostro a più tentacoli e che le conseguenze sociali, psicologiche ed economiche non sono profili meno gravi della malattia virale.


In Italia l’aspetto mentale della sanità sembra quasi essere stato abbandonato nel dimenticatoio, i due piatti della bilancia, infatti, sono ben lontani dal punto d’equilibrio: da una parte, volendo dare un po’ di numeri (da leggere con le dovute riserve dal momento che derivano da questionari svolti sul web)  la pandemia ha causato depressione nel 17,3% del campione di persone esaminate, ansia nel 20,8%, disturbi del sonno nel 7,3% ed il 21,9% degli intervistati  hanno ottenuto un punteggio superiore alla soglia circa lo stress percepito.(1)
Dall’altra nei dipartimenti di salute mentale “mancano all’appello 2mila psichiatri, 1.500 psicologi, 5.000 infermieri, 1.500 terapisti della riabilitazione psichiatrica e altrettanti assistenti sociali; e poi sistemi informati e telemedicina per mantenere il contatto con il paziente anche quando non è possibile visitarlo in presenza” (2). Evitando di appellarci ulteriormente al Governo dei numeri, è sufficiente essersi confrontati quanto basta con amici o con se stessi per comprendere le conseguenze psicologiche che sono e che saranno lasciate dalla pandemia; è sufficiente
essersi sentiti abbandonati in balia di queste conseguenze, per percepire l’assenza dello Stato sul tema.

Eppure immaginare politiche governative a tutela della salute psicologica dei cittadini non è follia idealista; lo dimostrano Paesi come il Belgio che già nel lockdown di Novembre aveva istituito il “knuffelcontact”, un compagno di coccole in deroga alle restrizioni sociali. Sulla stessa scia anche il Regno Unito con il suo “support bubble”, una bolla di supporto per le persone sole, alle quali era concesso di incontrare un’altra famiglia sotto lo stesso tetto. Sembreranno sistemi poco efficaci ma il significato politico è tutt’altro che banale: La salute mentale è importante e lo Stato la tutela anche e soprattutto durante la crisi pandemica, lo Stato conosce le conseguenze delle restrizioni che pone in atto e vuole porvi rimedio. Per i fan del pragmatismo, per i quali -giustamente- non è sufficiente la sensibilità politica sul tema, è d’esempio la Francia, che in concreto ha attuato politiche a favore della salute mentale rimborsando del 100% dieci sedute psicologiche ai bambini e adolescenti che nel corso dell’emergenza sanitaria ne avranno bisogno.
Dinanzi all’atomismo sociale al quale siamo costretti, alla paura, al depauperamente di gran parte delle attività quotidiane, la terapia psicologica non può più essere il “vorrei ma non posso” di questa società; se la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e si impegna per il pieno sviluppo della persona umana – come previsto dalla stessa Costituzione – allora che la nostra classe politica si occupi subito della salute psicologica dei suoi cittadini!

(1) “Depressive symptoms in response to COVID-19 and lockdown: a cross-sectional study on the Italian population”; rivista “nature.com”

(2) Giuseppe Ducci, Direttore di Dsm Roma 1 e Giulio Corrivetti, Direttore Dsm Salerno

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