No, nonostante il titolo possa far presumere qualcosa di simile non si sta parlando di un ennesimo “Metodo Di Bella” o di Tullio Simoncini, il quale propinava bicarbonato di sodio per combattere il cancro. La medicina narrativa è tutt’altra storia, è l’opportunità di azzerare la distanza umana che talvolta intercorre tra medico e paziente.
Da una indagine di “Digital Narrative Medicine” posta su 224 medici e 2.281 pazienti registrati su MioDottore (community digitale sulla sanità, tra le più grandi in Italia) emerge come ad oggi il 97% dei soggetti in cura non sappia cosa sia la medicina narrativa, discorso non tanto diverso per gli operatori sanitari, in quanto 1 su 2 (57%) ignora l’esistenza di questa pratica.
Ma di cosa stiamo parlando nel dettaglio?
La medicina narrativa risale a circa trent’anni fa da un’intuizione del medico Arthur Kleinman, recepita in Italia da Sandro Spinsanti, consistente nell’utilizzo dei racconti come strumento essenziale per raccogliere ed interpretare le informazioni date dal paziente e dalla sua condizione salutare.
Nel 2014, arriva la prima definizione a livello internazionale grazie ad una conferenza accademica tenutasi a Roma:
“Per medicina narrativa si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato”
Si tratta, in altre parole, di interloquire liberamente con il proprio medico, spesso scrivendo racconti o – per i più romantici – veri e propri libri. Il tutto sta nella riscoperta della parola, ci si immerge – infatti – in conversazioni in grado di fornire dettagli utili per la cura della problematica, informazioni che non emergono nel corso di una normale e ordinaria anamnesi.
Alla base, il 72% dei medici non ne detiene una competenza specifica, per il 49% è anche una questione di mancanza di tempo legata ad altri fattori gestionali (per più info: https://www.parolaperta.it/dalla-sanita-per-tutti-a-quella-per-pochi-fuggitivi-e-sfortunati/), eppure ogni paziente ha il proprio trascorso meritevole di ascolto.
Dal lato del paziente
Non è raro provare imbarazzo nel raccontare ciò che si sente ed è proprio qui che interviene la medicina narrativa. Mediante la possibilità di scrivere le proprie sensazioni, infatti, si riesce a superare quel muro di timidezza tra medico-paziente, offrendo dettagli maggiormente precisi. Oltre ciò, per la Columbia University di New York, visualizzare per iscritto la propria condizione “aiuta a controllare il caos derivante dalla malattia e a calmierarne le preoccupazioni”.
Dal lato del medico
Per l’operatore sanitario – secondo l’Association of American Medical Colleges – la medicina narrativa riesce a togliere la visione del paziente come malattia da curare per avvicinarsi, invece, alla riscoperta della curiosità per le persone, a trattarle come tali e non come “pacchi da evadere” in quanto “gli studenti e i medici devono conoscere l’anatomia della storia del paziente così come devono conoscere l’anatomia del corpo umano”, conclude l’AAMC.
Capiamo, dunque, come oltre i finanziamenti, oltre i fondi europei, le cartacce, i manuali, talvolta quella spinta in più è dietro l’angolo, più precisamente in quel senso di umanità e socializzazione che troppo spesso si sopprime, a favore di una velocità senza meta.
Curiosità: l’Italia è il primo paese in Europa ad aver messo a punto linee di indirizzo ufficiali sull’argomento, promosse dall’Istituto superiore di sanità (ISS).