‘Alla loro spietatezza ed accanimento opporrò la mia forza, tenacia e la volontà di un anarchico e rivoluzionario cosciente. Andrò avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. La vita non ha senso in questa tomba per vivi.’
Queste le parole di Alfredo Cospito, accusato e condannato nel ruolo di ideatore ed esecutore di una serie di reati di stampo anarco-insurrezionalista in quanto componente della Fai-Fri (Federazione Anarchica Informale- Fronte rivoluzionario internazionale).
Condannato nel 2012 per finalità terroristiche a 10 anni e 8 mesi di carcere per la gambizzazione di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, avvenuta nel medesimo anno a Genova.
A dipingere ulteriormente il quadro giudiziario dell’individuo anche l’attentato del 2006 alla scuola carabinieri di Fossano, dove fece scoppiare due ordigni -per pura casualità senza provocare morti o ferimenti- e per il quale fu condannato in primo e secondo grado dal Tribunale di Torino a 20 anni di detenzione per il reato di strage, inteso come delitto contro la pubblica incolumità.
Nel 2022, però, la Corte di Cassazione si riserva un’ulteriore analisi che porta alla riqualificazione giuridica del condannato da ‘stragista contro la pubblica incolumità’ a ‘stragista contro la sicurezza dello Stato’, inasprendo la pena all’ergastolo.
Ed è proprio a questo punto che la vicenda assume gli sviluppi di un vero e proprio caso mediatico; ovvero quando si inizia a varare l’ipotesi -poi divenuta sentenza- che investe Alfredo Cospito del ruolo di leader in associazione terroristica col fine ultimo di attentare alla sicurezza dello Stato.
Le preoccupazioni riguardavano principalmente l’affiliazione con la FAI, la recidività di reato e l’aggravante dello scambio epistolare, sotto forma di articoli di rivista, che il detenuto ha mantenuto -senza mai smentire- con le cellule anarchiche da dentro il carcere durante il periodo di detenzione.
Nell’aprile 2022, dunque, l’allora Ministro della Giustizia Marta Cartabia, con lo scopo di limitare i contatti e la corrispondenza di Cospito con l’area anarchica, decise di disporre nei suoi confronti l’applicazione del regime speciale ex.art 41 bis, in virtù della sua appartenenza ad un’associazione terroristica, con l’aggravante dell’istigazione a delinquere.
Già nel dicembre 2021, però, il Tribunale del Riesame umbro aveva bocciato tale provvedimento definendolo incoerente nella fattispecie.
‘Il tribunale evidenzia che si tratta di espressioni essenzialmente finalizzate a creare un dibattito interno al movimento anarchico, che non individuano obiettivi specifici e determinati’
Infatti, la pena comminata a Cospito, quella del ‘carcere duro’, rimanda al motivo fondante dell’introduzione del suddetto regime, ovvero la pericolosità che un individuo appartenente ad un’organizzazione criminale di tipo piramidale, dunque con uno schema gerarchico ben distinto, possa comandare (nel ruolo di leader del movimento, capomafia, boss ecc..) e dunque dirigere azioni rivoltose o terroristiche dentro e fuori dal carcere.
Viene così modificato il capo d’imputazione nel reato di ‘strage politica volta ad attentare alla sicurezza dello Stato’ che, analogamente o quasi agli attentati di stampo mafioso, si traduce in ergastolo ostativo definito candidamente come ‘fine pena mai’.
E’ bene ricordare come la suddetta forma di detenzione consiste nella sospensione delle più basilari condizioni di vita; isolamento, sorveglianza costante, riduzione di ore d’aria ed unico colloquio mensile con familiari e legali.
Nessun tipo di socializzazione, nessuna misura rieducativa, purissima coercizione.
E’ coercitivo nella misura perché il 41-bis è un regime che non consente sconti di pena in assenza di collaborazione e ravvedimento, sottoponendo il detenuto ad una pressione psicofisica atta ad estrapolargli informazioni cruciali circa le dinamiche dell’associazione criminale di appartenenza.
Nell’estate 2022 Cospito viene perciò trasferito presso la Casa Circondariale di Sassari divenendo così il primo anarchico sottoposto al carcere duro.
Dal 20 ottobre Alfredo Cospito è in sciopero della fame, in segno di protesta contro l’ergastolo ostativo e l’incostituzionalità della pena usando l’unica libertà rimastogli, la libertà di lasciarsi morire.
Trascorsi più di 100 giorni è stato trasferito nel carcere Opera di Milano per ricevere assistenza medica, mentre le piazze europee sussultano di scontri e proteste a suon di ‘Fuori Alfredo dal 41-BIS’.
Anche la classe politica, però, sussulta, mettendo in mostra tutta la sua insipienza culturale come da prassi quando è chiamata ad esprimersi in materia di diritti umani, strumentalizzando con estremo giustizialismo.
Neanche un anno ci soffermavamo su come la lotta al crimine diventi essa stessa uno scenario eccitante, un’onda da cavalcare con prepotente demagogia e pericoloso sciovinismo.
La narrativa proposta dai maggiori siti d’informazione si presenta come una bolla speculativa dove il detenuto è trattato come merce di scambio nel vasto mercato della strumentalizzazione. In termini di risonanza, infatti, non sono le manifestazioni pacifiche o l’istituzione di nuove associazioni a ritagliarsi spazio nei palinsesti televisivi e non, bensì le rivolte violente, gli scandali e i drammi a richiamare le attenzioni della società sui propri scheletri nell’armadio.’
La notiziabilità del carcere, d’altronde, vive di fasi alterne, di tormente sociali nel dramma altrui che però hanno il potere di interrogare l’animo di ogni singolo individuo in nome di ciò che rimane dello Stato di Diritto.
Mobilitazioni studentesche (vedi facoltà di Lettere alla Sapienza e Liceo Einstein a Torino) , attentati dimostrativi violenti come a Milano ma anche le sommosse nei consolati di Berlino, Barcellona ed Atene. Un’intera società investita dalla necessità di esprimere la propria opinione, la stessa della quale è stato privato Cospito.
Dunque, esattamente, cosa si sta chiedendo?
Andiamo con ordine, la condanna in atto delinea il profilo di Cospito come figura apicale della sua organizzazione intesa come criminale, dunque come potenziale aizzatore di sodalizi insurrezionalisti. Gli è stato imposto il carcere duro per censurare nettamente la comunicazione con l’esterno, che avveniva da più di 6 anni a discapito di ogni premeditazione.
Chi scrive non è in alcun modo collegato alla FAI o qualunque altro tipo di gruppo di stampo anarchico, ma è bene soffermarsi sull’illogicità dell’analogia tra federazione anarchica ed associazione mafiosa.
Se lo scopo dell’isolamento forzato del 41-bis è previsto per quelle figure all’apice di organizzazioni mafiose (come è ora per Matteo Messina Denaro e come fu per Pippo Calò e Michele Greco) che seguono uno schema verticale secondo una gerarchia di potere, questo non può dirsi della Federazione Anarchica Informale.
Per definizione è un’organizzazione sociale di tipo orizzontale, senza ruoli e posizioni, che fonda le sue ideologie sull’autonomia e la libertà dei suoi individui in contrapposizione alle forme di potere costituito.
E’ corretto dire che ‘il gruppo anarchico è attivo nel momento specifico dell’azione, non investendo le vite dei compagni con le sue progettualità e perciò distaccandosi da ogni specialismo lottarmatista’.
Ritengo perciò inopportuno paragonare la figura di un anarco-insurrezionalista a quella di un boss mafioso proprio per la differenza gerarchica tra le due posizioni; l’assenza di cellule organizzate rende di fatto inefficace il tentativo di storcere informazioni e confessioni agli appartenenti di un gruppo autonomo ed informale.
Il sussulto del Ministero della Giustizia in merito alla pericolosità delle sue corrispondenze dal carcere, dunque, poteva essere risolto con strumenti differenti per monitorare legittimamente la comunicazione con l’esterno del detenuto, privandolo in toto della possibilità di incitamento alla violenza.
E invece a farlo da padrone ci ha pensato la verve giustizialista di uno Stato che non si piega ai reietti, a quelli che Frantz Fanon chiamava ‘dannati della terra’.
E quindi No, il 41 bis non è sicurezza, non facciamo alcun uso fazioso nel descriverlo come disumano e degradante per un individuo che sicuramente non è un pupazzo consapevole nelle mani della Mafia. L’assurda retorica che si sta facendo contro i manifestanti, o chi più semplicemente tiene alla causa di Cospito, è aberrante specie se lo si fa inneggiando ad un atteggiamento rigido e thatcheriano che già in passato ci è costato diverse condanne da parte della Corte Europea dei Diritti Umani.
‘il regime del 41 bis è ispirato ad un principio di vendetta e, nella sua funzione fondamentale, si accosta pericolosamente all’istituzione della tortura […] il fine ultimo della tortura non è, in sé, ottenere delle informazioni, bensì distruggere l’identità personale del torturato […] La richiesta esplicita che viene infatti rivolta ai condannati con il 41 bis e il 4 bis è quella di collaborare con la giustizia.’ (Maria Rita Prette, il carcere di cui non si parla, 2012)
Questo che scrivo non ha il benché minimo scopo di essere un manifesto di ieraticità ossessiva nei confronti di un condannato ma un quadro oggettivo sull’ipocrisia giustizialista che riempie, anzi cavalca, le onde mediatiche degli ultimi giorni.
Sarebbe altresì fuori luogo strumentalizzare la vicenda di Alfredo Cospito per richiedere un’attenuante a tutti i sottoposti all’ergastolo ostativo, a discapito delle associazioni che da decenni lottano contro i soprusi della criminalità organizzata e contro i loro rispettivi leader.
Secondo la mia opinione, la vicenda offre spunti di riflessione sui quali è giusto che ogni cittadino si fermi a pensare. Personalmente non ritengo ingiusta la detenzione -non ostativa- di Cospito in virtù della sua pericolosità offensiva già reiterata. Ritengo altresì ingiusto che per chi ha usato mezzo chilo di polvere pirica si chieda la stessa pena comminata a chi utilizzò cinquecento chili di tritolo per la strage di Capaci.
Per quanto riguarda la questione che investe direttamente la legalità del regime ostativo, sono anni che diverse associazioni sostengono la revoca di tale misura, andando ad scontrarsi contro chi in passato ha lottato affinché questa fosse l’arma più potente dello Stato contro le barbarie mafiose.
Il regime rigorosamente afflittivo che rappresenta il 41-bis fu istituito, o meglio mutato, negli anni ‘90 come mezzo di contrasto alle mafie in un’Italia decisamente diversa da quella attuale. E’ bene ricordare come in termini giuridici il regime sia giustificato purché limitato alla censura dei contatti con la sfera criminale di appartenenza, e soprattutto senza contrastare la finalità rieducativa della medesima pena.
Nel corso degli anni però, agli occhi di alcuni giuristi, si presentava però incostituzionale nelle sue modalità, applicazione ed estensione alla cosiddette cellule terroristiche.
‘’Il quadro si presenta fosco e preoccupante, ma anche con caratteristiche delittuose….non è certamente questo il modo di riaffermare la legalità e la primarietà dello Stato, di contrastare credibilmente la criminalità organizzata, di coltivare la buona amministrazione.’’ Da un rapporto del magistrato Merani, 1993.
Alfredo Cospito è un anarchico sedizioso, un soggetto capace di gambizzare un dirigente e di far esplodere diversi ordigni.
Ritengo oltraggioso definirlo uno stragista politico, specie se paragonato ad individui come Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (autori della tristemente nota strage di Bologna) piuttosto che i fratelli Graviano, tutti individui che, nonostante le numerosi morti furono condannati per ‘strage semplice’.
A nessuno serve un Cospito martire, nessuno ha bisogno di registrare il primo morto nelle carceri per sciopero della fame, sarebbe l’ennesima macchia di una struttura giuridico-repressiva che affonda le sue radici in un passato dalla quale non riesce a slegarsi.
La Corte Suprema, ad oggi, ha accolto il ricorso della procura e chiesto al riesame un nuovo pronunciamento che dovrebbe avvenire nei primi giorni di marzo, sempre che Alfredo non si lasci morire prima.
Alessandro Rossi.