DICHIARAZIONI D’AMORE

  • Venezia, capitolo 1

Il festival di Venezia ha avuto inizio. Una delle manifestazioni cinematografiche più importanti del mondo, tenutasi in una piccola porzione di quello che è il Lido, ovvero l’isolotto della laguna di Venezia dove a detta degli abitanti del centro si respira un’aria troppo isolana. Non ho ben capito se scherzassero o meno, ma poco importa. E’ l’unico posto di Venezia dove ci si possa fare un bagno senza beccarsi un malanno, questo, sempre a detta degli abitanti del centro. Ho chiesto se facendo un confronto sia meglio l’acqua del Lido o quella di Rimini. “Quella di Rimini.” è stata la risposta pronunciata come una sentenza. Al di là del buon sangue che possa scorrere fra i popolani dei vari quartieri veneziani, quello che a me importa è che per 10 giorni all’anno quell’isolotto in mezzo alla laguna si riempia di vita e di un’atmosfera elettrizzante.

Sono sbarcato (in realtà arrivato con il treno) a Venezia (in realtà a Mestre) il giorno 1/10, con un animo particolare, lo stesso che mi prende ogni volta che faccio un viaggio dopo tanto tempo, l’animo di chi non si aspetta nulla, di chi è già contento di prendere un treno, di andarsene e immergersi in qualcosa di nuovo. La predisposizione d’animo perfetta per sorprendersi e guardare tutto con gli occhi di un bambino. 

Ed ecco che così Venezia si è presa subito il mio cuore. Il mio portafoglio, invece, ha deciso di prenderlo poco a poco. Troppo forti le impressioni che provocano un senso di vertigine passeggiando per i suoi vicoli misteriosi e per le sue piazze, che qui in realtà si chiamano “campi”, perché di piazza ce n’è una sola ed è piazza San Marco. Troppo forti anche gli odori, i quali contribuiscono al senso di vertigine, delle stradine che costeggiano i canali e che, simpaticamente, una mia amica veneziana ha battezzato “odeur de venise”. 

Insieme a me quel giorno è sbarcato anche un altro bambino, un po’ più grande di me, Roberto Benigni. Il fanciullo aveva da fare una cosetta, doveva ritirare un animale, un Leone, tutto dorato, per la sua carriera. Lui ha un poco protestato, voleva un “gattino” come ha detto in conferenza, ma tanto gli è toccato, si è un po’ consolato per il fatto che fossero tutti dei felini e che questo Leone d’oro avesse pure le ali. Non contento ha dato pure un abbraccio al presidente Mattarella, presente alla cerimonia d’apertura, che per qualche secondo si è concesso una postura meno rigida. “Rimanga ancora per un po’ presidente, almeno fino ai mondiali in Qatar, porta fortuna” gli ha detto Benigni, “Anche tu” sembra avergli risposto Mattarella. 

Fatto sta che, sempre più ispirato e saggio, nella città romantica per eccellenza, Roberto, durante il discorso celebrativo per il suo premio ha regalato al mondo una delle dichiarazioni d’amore più belle che si siano mai pronunciate, dedicate alla sua musa Nicoletta Braschi.

Mi hanno veramente colpito. Ma come tutte le cose che ci colpiscono, di solito lo fanno perchè fanno già parte delle nostre riflessioni, in qualche modo le avevamo già pensate. 

Ecco, il discorso di Benigni ha sintetizzato in una dedica amorosa la necessaria complementarietà tra uomo e donna. Quante volte abbiamo sentito la frase: dietro ad ogni grande uomo c’è una grande donna. Molte. Io preferisco cambiarla un poco: dietro ad ogni grande uomo c’è una donna ancora più grande – così come forse dietro a un piccolo uomo vi è una donna minuscola- questo non per dire che la donna debba per forza stare dietro, i termini possono anche essere scambiati di posto, non è questo il punto. Il punto è che siamo gli uni necessari agli altri, perché diversi. Ma non si tratta di una diversità inconciliabile o negativa, ma di quella che Benigni nel suo discorso definisce “mistero, fascino, femminilità, il fatto di essere donna, essere donna è un mistero che noi uomini non comprendiamo.” , un mistero fatato di cui, se spostate un attimo il velo delle banalità generali, possiamo accorgerci. Accorgerci dell’abisso che ci divide e per questo provare ad avvicinarci,  per questo sentirci attratti da quello che ancora non abbiamo scoperto di essere. Non è facile elencare le tante diverse situazioni e piccole sfaccettature che nel corso della mia breve vita mi hanno fatto rimanere con la bocca aperta, in quanto manifestazione concreta di quanto vi sto dicendo. Non è facile vedere la forza titanica di una donna se non si è compreso di essere fragili, non è facile avvertire  la sensibilità se non si è già abbastanza sensibili, non è facile capirne il genio risolutivo se non ci si è mai resi conto che l’ordine è nel caos, non è facile comprendere la spensieratezza e la gioia di vivere delle donne se non si è mai voluto imparare da loro. 

Continua Benigni citando Groucho Marx:”gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta”, una frase che sento così vera anche se non la colgo in pieno, in cosa davvero non ce l’abbiamo fatta? 

Forse proprio in questo: rendersi conto che in noi vi è una parte maschile e una femminile, e che anche questa seconda ha bisogno di nutrimento e di essere scoperta, laddove per femminile si intende una posizione più ricettiva verso il mondo. La donna è un mistero verso cui andiamo incontro da sempre per scoprire la parte misteriosa che vi è dentro di noi. Esattamente come Beatrice conduce Dante ai vertici del paradiso fino a Dio, seguire la nostra parte femminile ci condurrà verso le vette più alte del nostro essere. 

“Io non ce l’ho fatto a essere come te. Se ho fatto qualcosa di bello e buono è stato sempre attraverso la tua luce. Il nostro è stato un amore a prima vista, anzi, ad eterna vista.” conclude Roberto, riportandomi alla mente due cose: la prima è che mi sono sentito spesso illuminato dall’amore, come sospinto da una forte carica vitale, come guidato da una “luce” appunto che meglio mi faceva vedere le cose. La seconda è se davvero possa esistere questa fonte perenne di luce nell’altro, questa darsi forza a vicenda e brillare, come lui e Nicoletta sembrano aver fatto e fare. Insomma anche io, nella mia reticenza del romantico, mi domando se non esista in fin dei conti l’anima gemella. 

Si è fatta già sera, arrivo tardi al Lido e mi metto in fila per ritirare il mio accredito, c’è una lunga fila, la più lunga degli ultimi anni dicono i visitatori del festival più esperti intorno a me. Perdo le speranze, non farò in tempo a vedere il film che avevo prenotato. Un membro dello staff si avvicina e mi domanda se sono della stampa, gli rispondo che sì, lo sono. Mi dice di seguirlo e salto tutta la fila che mi precedeva. Non sapevo di avere dei privilegi.

Mi siedo in sala, la luce si spegne, il film ha inizio e anche il mio festival. E’ solo il primo giorno.

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