Ho capito perché li chiamano così, gli autori.
Per etimologia, autore è colui che crea. Non ci avevo mai fatto caso.
Scrittore, romanziere, novellista, saggista. Poeta, letterato, giornalista, narratore, compositore. Uno può scrivere ed essere chiamato in tanti modi, senza particolari distinzioni, perché chi legge di solito, non fa attenzione al modo con cui definisce la mano che impugna la penna.
Il più delle volte la differenza è minima: si scrive così tanto e disordinatamente, che ormai le parole, scelte con superficialità, colano da un testo all’altro, da un genere all’altro.
Scrittori, novellieri, saggisti. Raccontatori. Ecco quello che siamo diventati: una macchina che impasta storie e inforna pani dalle forme diverse ma con lo stesso sapore.
E i libri così: infilano parole, righi e capitoli uno dopo l’altro. Riformulano le storie di altri, rispecchiano me stessa e la ragazza che mi siede affianco in quest’aula e così il ragazzo qualche sedia più in là.
E i dorsi tutti bianchi e timbrati, e le copertine -anche quelle tutte uguali- riproducono un dipinto che fatico spesso a mettere in relazione con la storia che sto leggendo. Parlano voci diverse ma mi ripetono sempre lo stesso monito; una predica alla messa domenicale: siamo adulti stropicciati, smarginati. Fatichiamo a percorrere i nostri contorni e a comprendere i confini degli altri.
Quando é che il filo delle nostre vite ha cominciato ad aggrovigliarsi? C’è ancora tempo per dipanarlo?
Siamo giovani stanchi, sconvolti da una vita che ancora abbiamo a vivere. Arraffiamo, collezioniamo, e facciamo con aggressività e cattiveria. Da dove viene questa rabbia che ci cresce dentro, e perché sentiamo di doverci piegare sotto il peso di una storia che non é la nostra?
Scrittori, novellieri, romanzieri, sceneggiatori, compositori, la loro musica é tutta uguale.
Le immagini si rincorrono, sempre le stesse.
E noi fruitori brindiamo all’opulenza della fabbrica delle storie: maggiore la quantità, minore il tempo di rimanere soli, non fare nulla, annoiarsi e magari pensare.
In quest’orda di pornografi, l’autore apre le gambe al genio.
E mentre gli altri ripetono l’arte, l’autore la crea.
É per questo che l’autore si chiama così, perché con i suoi mezzi
crea.
E può essere saggista, romanziere, novelliere, poeta pur non scrivendo mai un verso. E così anche sceneggiatore e compositore, se le parole sa usarle bene.
Non serve, all’autore, produrre in serie. Non serve fasciare la propria opera di nastri gialli che portano nomi di premi ambiti. Non servono ritorni improbabili, ultime volte e colpi di scena. Nessuna formula magica o schiocco di dita; non meccanismi, regole, o canoni: l’autore é un fuoriclasse.
Basta una frase, talvolta; una sola tra mille contenute in un testo, a svelare il suo genio.
Oggi ho incontrato un autore.
Gli ho portato il libro che preferivo tra quelli che aveva scritto, perché potesse firmarlo.
Non ha scritto oggi, né fatto discorsi. Eppure io l’ho riconosciuto dallo sguardo, dal modo che aveva di osservare le cose.
Dalla meraviglia nei suoi occhi, dal modo in cui sembrava riuscire a suo modo a toccare ogni cosa e scoprine e conoscerne l’intima storia.
Da questo io l’ho saputo subito che é un autore.
E guardandolo mi é tornato alla mente il suono che fa un pianoforte da qualche parte nell’oceano, e ho sentito le paure di un uomo crescermi dentro; tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce, né quanto ce n’è.
Il sapore del sale sulle labbra, l’ho sentito, e ho rivisto le tele di un pittore che dipinge solo con l’acqua di un mare che assomiglia tanto al mio. La leggerezza di una ragazza così fragile che quasi hai paura si spezzi solo a pensarci.
E l’amore, l’ho sentito forte come in un libro in cui si raccontano tutte le storie che ci hanno reso chi siamo.
E così l’indagine, la ricerca, il chiedersi sempre perché, e lo stupore per
una foglia
che si trova lontana dal bosco in cui é caduta,
tra le pagine di una storia che io ho scritto,
che tu hai letto.
É la vita ovunque, e saperla riconoscere.
Questo é un autore.