Comunica il dolore, se riesci

L’ESTERNO: VEDO BENE DA LONTANO

Da quando siamo bambini impariamo quanto l’unione faccia la forza e come il gioco di squadra sia il mezzo con cui si possa raggiungere ogni fine. Ma in una società in cui avanza una progressiva riduzione della sfera condivisibile, in contrapposizione ad uno spazio intimo che non solo si dilata, ma diventa sempre più rigido, come possiamo comunicare fuori da noi ciò che non vogliamo neanche ammettere a noi stessi?

Comunicare” è un termine la cui etimologia latina dice molto su di noi. Le parole infatti, sono strumenti pericolosi, corrono per i vicoli della realtà sporcandosi con la società fino a non riconoscersi più. Che venga da “communis” (mettere in comune, rendere partecipe) o dall’ unione tra “cum” e “munire” (legare/costruire insieme), comprendiamo facilmente quale sia la missione con cui questa messianica combinazione di lettere sia venuta al mondo.

La possibilità di mettere in comune il proprio sé con qualcuno per costruire congiuntamente, confluisce un fiume di magia ad una apparentemente banale conversazione. Il motivo di questa precisazione iniziale non ha a che fare con una nostalgia per un’epoca passata, ma rappresenta solamente un mezzo per realizzare quanto noi stessi siamo capaci contemporaneamente di avvicinarci ad un oggetto con la mente pensando a qualcosa di “utopico”, per poi cacciarlo con le azioni fallendo nel realizzarlo.

L’incomunicabilità infatti è un argomento già noto ai greci, successivamente sviscerato nelle sue interiora dai pensatori ed artisti di ogni epoca, eppure sembra quasi che più aumenta la nostra capacità di “renderci partecipi” più ci avviamo verso una chiusura sempre più ermetica, come un pulcino che vuole farsi vedere schiuso, ma non ha nessuna intenzione di parlare con nessuno al di fuori del suo uovo. Impariamo a leggerci: abbiamo vissuto la nascita di dittature, guerre mondiali, pandemie. In comune questi eventi hanno non solo una connotazione dolorosa, ma anche quella di essere “communis” ad una enorme fetta della popolazione.

Siamo fratelli e sorelle orfani degli stessi genitori che hanno stabilito di non parlarsi perché ognuno ritiene ridicolo come l’altro elabora il lutto. L’artista non comprende chi ricerca la sua realizzazione in una sfera professionale, che a sua volte non comprende chi non riesca a produrre qualcosa attraverso sé stesso.

Il problema è che per quanto possiamo avere le stesse malattie, continuiamo a soffrire soli perché il giudizio si è insinuato nelle nostre menti. Questo è il più grande batterio che dobbiamo sconfiggere, il virus che ci tiene lontani gli uni dagli altri. Il giudizio si inserisce nella stessa comunicazione che noi facciamo quando ci convinciamo che in fondo nessuno ci potrà capire. Andrebbe corretto dicendo che nessuno ci potrà vivere, perché certamente quel dolore sarà sempre solamente a carico nostro, ma siamo noi stessi i responsabili della rottura delle catene dell’incomunicabilità. Se smetto di avere paura del giudizio degli altri automaticamente mi scorderò di giudicare loro per riuscire ad entrare a gamba tesa nello spazio della libertà.

L’INTERNO: VEDO DOPPIO DA VICINO

Le onde sono un fenomeno così magico, le si potrebbe guardare all’infinito, sono il segnale con cui il cosmo ci avverte di svuotare i cassetti prima del terremoto, perché il giorno in cui vorrà soffiare la giusta corrente tutto ciò che abbiamo nascosto tornerà a congelare i piedi.

Che strano parlare di comunicare il dolore, sembra quasi necessario mettere il proprio da parte, dover guardare la realtà come una scienza dalla quale trarre il miglior insegnamento. Non è così.
Non ci sono citofoni nel corpo, è costretto ad arrivare all’improvviso l’ospite indesiderato che neanche ci avverte della durata del soggiorno. Una volta che ha steso le gambe si spengono tutte le luci dentro, quindi per forza si fatica a vederlo, figuriamoci a capirlo.

Non vuole dire nulla, si rifiuta di parlare, nonostante gli si faccia continue domande sul suo percorso. In verità si sa da dove è partito, ma chi gli ha detto di venire qui? E poi cosa vuole ora che stiamo vivendo alla luce del sole?
Evidentemente non fa nessun discrimine, però oggi sembra con me sia particolarmente devoto. Sono giorni che se urlo divento afono e se invito qualcuno a casa per dimostrare che esiste, lui scompare, si chiude a chiave in camera e non vuole uscire ad alcun costo. Sembra quasi non voglia attirare attenzioni esterne, però io come faccio a spiegare il motivo dei miei strani comportamenti se nessuno lo può vedere.

Se hanno costruito fari altissimi e messo sirene sopra le ambulanze è perché la realtà, quella urgente, necessita attenzione, ha bisogno di essere curata subito perché ogni giorno crescono metastasi nella psiche e siamo troppo fragile per metterla a rischio.
Una mattina però, una rivelazione, allo specchio il mio nemico ed il mio sosia sul divano. Ho girato il mondo per scoprire chi fosse e lui era sempre stato lì e mi rendo conto che tutto ciò che avevo perso lui lo aveva. La consapevolezza di me ha riportato la voce, ora potrei gridare, ma non voglio più.

Ho deciso che rimarrà qui perché i pezzi che ha preso da me possano essere ricuciti con l’oro.

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