Tra le ragioni che mi hanno spinta a collaborare con ParolAperta c’è la volontà del gruppo di divulgare tematiche affini agli obiettivi che le Nazioni Unite desiderano realizzare entro il 2030. Con l’occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino, fulcro di una fervente attività interculturale, mi sono detta: quale momento migliore per testare le conoscenze della massa sull’Agenda ONU 2030?
Diciassette obiettivi
Durante la Settantesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi a New York dal 25 al 27 settembre 2015, è stata adottata la Risoluzione del 25 settembre 2015 contenente l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Essa è frutto di un lungo, turbolento percorso storico intrapreso dal diritto internazionale e dalla lotta persistente per il riconoscimento universale dei diritti umani.
La seguente immagine enumera i diciassette obiettivi che l’ONU si propone di raggiungere entro il 2030.
Com’è facile comprendere da un’occhiata d’insieme e da una sbirciatina sui media nazionali, più che rosei propositi si tratta di favolette a cui è impensabile credere. È impensabile se osserviamo l’attuale contesto geopolitico nonché la forbice del divario economico e sociale via via più spaccata. Partendo dalla primissima soglia da affrontare, quale la comunicazione atta a efficaci analisi, organizzazione e programmazione, ci rendiamo conto che non solo le condizioni mondiali stanno traghettando in direzioni opposte, verso destinazioni incerte e pericolose, ma le ciurme a bordo delle navi non conoscono neppure la Terra Promessa.
Gli esiti dei sondaggi
ParolAperta ha interrogato vari frequentatori del Salone, quali espositori, autori e utenti vari e questi sono i risultati ottenuti:
Alla domanda: “Hai mai sentito parlare di Agenda ONU 2030?” (solo) il 20% degli intervistati ha risposto che sì, la conosce, dimostrando anche di ricordarne gli obiettivi; il 40% ha dichiarato di averne sentito parlare, senza però essere in grado di entrare nello specifico; e il restante 40% non la conosceva affatto. Come brillantemente evidenziato da un interpellato – facente parte dell’ultima fetta citata – la lacuna non andrebbe intesa come una sua personale mancanza, quanto il risultato di un difetto di comunicazione a monte. Un lessico elaborato, parole pretestuose, fuorvianti e imprecise, impediscono alla cittadinanza comune di comprendere il fenomeno e di elaborarne le implicazioni.
Una volta snocciolati gli obiettivi agli intervistati, nessuno fra questi ha ritenuto possibile il traguardo di un mondo senza più povertà, senza fame, dalle disuguaglianze appianate e dalla vittoria sul cambiamento climatico. Non nei prossimi cinque anni almeno. Anzi: il 60% non crede che verrà raggiunto alcuno tra i diciassette obiettivi. A una persona sfugge una risata beffarda pensando al punto numero tre: “Salute? Ma quale salute che stanno privatizzando tutto! Solo chi ha i soldi potrà avere la salute”. Il 40% invece si è sforzato di essere più fiducioso: una scadenza prefissata è pur sempre un modo per compiere dei passi, seppur piccoli.
L’espletamento dell’Agenda
L’ultima domanda posta è stata: “Cosa possono fare i giovani e la comunità nel complesso?”
Alcuni si sono appigliati alla speranza riposta nel buon senso dei singoli, promotori di azioni dall’impatto minuscolo se prese singolarmente (raccolta differenziata, utilizzo di mezzi pubblici…), ma dall’effetto consistente se effettuate all’unisono.
Altri hanno giustamente ricordato il ruolo centrale dell’istruzione e dell’educazione: gli adulti di domani, oggi sono da prendere per mano, sono da accompagnare in questo mondo ostile che pare non volerli accogliere, per spiegare loro il valore del rispetto e dell’impegno – impegno che le politiche attuali non sono in grado di dimostrare.
Un utente riflette sul bisogno di creare comunità. Alcune differenze sono causate dal contesto sociale in cui siamo cresciuti ma è bene andare oltre e mescolarsi. Inoltre è auspicabile rallentare. Sembra controintuitivo, eppure: “mi deve essere permesso di andare al lavoro in bicicletta, senza arrivarci sudato e dovermi fare tre docce al giorno, perché altrimenti, al posto di consumare CO2 sprecherò acqua”.
Le voci più audaci del coro hanno chiarito l’unica soluzione che ritengono valida: essere estremi. Essere incisivi. Accendere il cervello. È necessario avviare un dibattito radicale. È essenziale leggere, informarsi e diversificare i metodi di acquisizione di notizie. È il momento di pretendere. Perché i diritti non vanno chiesti con cortesia e remissività, con quel macigno sul cuore che trattiene la voce: i diritti sono già nostri e dobbiamo pretendere che ci vengano corrisposti.
Time is up.
Cosa ne faremo?