Medicina a numero aperto: l’odissea di diventare medico

Ogni età ha la propria paura, ogni momento della nostra crescita vede in sé dei periodi di preoccupazione per qualcosa. A 2 anni abbiamo paura di camminare. A 7 anni abbiamo paura di lasciare mamma e papà per andare a scuola. A 10 anni abbiamo paura del buio. A 16 di sbattere la macchina 50 appena patentati. A 18, 19 anni, chi ha il sogno di diventare medico ha paura di non passare il test di medicina.

Ci ha pensato il Governo Meloni, nella persona del Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, a promuovere l’abolizione del numero chiuso alla facoltà di medicina e chirurgia. Dal 1997, infatti, per indossare il camice occorreva – e tuttora occorre – superare un articolato quiz a risposta multipla. L’ultima modalità prevede, infatti, 60 quesiti ai quali rispondere entro 100 minuti, comprendendo competenze di lettura ed elaborazione del testo, logica e problemi, biologia, chimica, fisica e matematica.

Insomma, tutt’altro che una passeggiata, specie se a tarpare le ali di un aspirante medico sono domande – realmente presentate – come “in che modo coltivano i pomodori gli Incas?”, “a che altezza vola la gazza?” o “chi ha inventato la Viennetta?“. Essere respinti per non conoscere la storia del gelato Viennetta è una presa per il culo.

Tornando ad oggi, precisamente al 24 aprile, arriva il primo ok in Senato, dalla Commissione Istruzione la quale ha votato all’unanimità contro il numero chiuso a medicina. Il disegno prevede l’accesso libero ed incondizionato a chiunque ne faccia richiesta, alla condizione – però – di dover raggiungere entro il primo semestre tutti i CFU richiesti per continuare il prosieguo all’interno della facoltà, oltre che una specifica media dei voti ancora da stabilire. A quel punto rispunterà la graduatoria nazionale di merito per l’ammissione al secondo semestre di Medicina.

Sanità mentale non riciclabile

A pagare le conseguenza di questa bozza è la sanità mentale degli studenti-pendenti di medicina. Chiunque frequenti un percorso universitario sa le emozioni contrastanti che si vivono, e sa che – nel proprio cammino – possano spuntare i famigerati imprevisti. Saltare un appello, essere bocciati ad un esame, non è sempre ascrivibile alla scarsa preparazione dello studente, quanto – anche o talvolta soprattutto – a fenomeni esterni che ne hanno influenzato lo studio. Siamo umani. L’impressione, dunque, è che sopravvenga una corsa maggiore a quella che già è presente nell’intero sistema universitario italiano, in questo contesto ampliata dallo sbarramento al successivo semestre; prima entri, poi esci. Il tutto, ancora peggio, se ci si veda spezzare il proprio sogno per una media del 25 anziché del 26.

Mancanza di medici specializzati

In Italia, come mostra Anaao-Assomed, viviamo una carenza di personale medico specializzato, lo stesso che – una volta formato – insegnerà nelle Scuole di Specializzazione. Al 2022, mancano circa 80.000 camici bianchi, per lo più in aree di specializzazione come medicina generale, pediatria, psichiatria e medicina dell’emergenza-urgenza. Logica vuole che, dinnanzi ad una carenza di personale specializzato, si rischia di avere un ingente numero di “dottori in medicina e chirurgia” ma pochissimi docenti presenti a specializzarli.

Contratti blindati e fuga all’estero

Sono blindati, poi, i contratti di formazione specialistica. Ciò si traduce nel fatto che, a seguito del numero aperto, matematicamente avremo più medici in uscita. Secondo le stime si potrebbe arrivare a creare 19mila medici ogni anno, con un’offerta di formazione post-lauream ferma però a 16.600, di cui 14.500 contratti di formazione specialistica e 2.100 borse per la formazione in Medicina generale.

Di risposta, è naturale pensare alla fuga di medici verso l’estero (oltre 11mila tra il 2008 e il 2018), un regalo ad altri Paesi calcolando che formare un medico costa allo Stato 150mila euro, costo tutt’altro garantibile a tutti.

Strutture universitarie carenti

Altra problematica, banale ma fondamentale, sono le università, nello specifico la struttura e l’organizzazione dei dipartimenti preposti. Sono pochi, infatti, gli atenei in grado di offrire una formazione completa e continuativa a tutti. Un esempio? Se abbiamo 100 posti a sedere, non possiamo fare entrare 200 studenti.

Sono questi, dunque, solo alcuni dei dubbi e delle problematiche a seguito della papabile eliminazione del numero chiuso presso la facoltà di medicina. Sia chiaro, nessuna invettiva contro il Governo Meloni, nessun attacco politico ma una sana discussione su ciò che riguarda il futuro di tutti quei ragazzi e quelle ragazze che sognano di indossare un camice ed aiutare il prossimo. Riformare le domande del test, forse, sarebbe già un passo di svolta. Magari con quesiti che vadano oltre i gelatai.

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