D’altronde si sa, la televisione – italiana, americana, nord coreana che sia – tutto trasmette tranne che contenuti pienamente attinenti al concetto di “libertà” che, su larga scala, si intende. E no, non è una teoria del complotto, ma una semplice base che accomuna – purtroppo – la quasi totalità di mezzi di comunicazione: gestione da gruppi di interesse, finanziamenti e linee da altrettanti gruppi.
Su questo tema non la fa franca il Festival di Sanremo, un’occasione per la quale – ormai – non si tratta soltanto di musica italiana ma di marketing, comunicazione avanguardistica, momenti culturali e scenografie utili per rimarcare l’idea di ogni artista; non è un gioco, ma una macchina in grado di fruttare 60 milioni di euro soltanto dalle pubblicità inserite.
Ebbene, che il Festival non sia stato esente da fenomeni censori non è una novità: da Lucio Dalla a Vasco Rossi, da Rino Gaetano a Massimo Troisi che, nel 1981, non potendo parlare di politica, religione e del terremoto dell’Irpinia, decidette di abdicare all’ultimo il palco.
Ciò che sta destando maggiore scalpore, tuttavia, è che la censura si sia spostata nel “dopo” Festival, tra gli studi RAI di “Zia Mara” Venier, conduttrice e volto storico televisivo da 40 anni a questa parte.
Il caso
Mara Venier ha ottenuto la possibilità di usufruire del palco del Festival di Sanremo per mandare in onda il suo “Domenica In“, appuntamento domenicale in orario di punta. Tra gli ospiti, Ghali e Dargen D’Amico.
Il cantante arabo-italiano, infatti, dal palco dell’Ariston ha tuonato con un improvviso – e neanche tanto – “stop al genocidio”, catturando l’ira dell’ambasciatore d’Israele in Italia sostenendo che sia “vergognoso che il Festival di Sanremo venga utilizzato per diffondere odio e provocazioni” (?????). Ospite da Zia Mara, ha parlato di Palestina concentrandosi sul fatto che lui, bambino di origine araba, sarebbe potuto essere uno dei tanti sotto le bombe e che, tra gli spari, si potrebbero nascondere futuri cantanti, calciatori, uomini e donne di successo ma che vedono la loro vita spezzarsi per giochi di potere.
Visibilmente impacciata, Mara Venier lancia un messaggio frettoloso a sostegno della pace per poi leggere quanto segue, un comunicato dall’Amministratore Delegato RAI Roberto Sergio:
“Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano, e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta.”
“E’ un pensiero che condividiamo noi tutti“, conclude la Venier.
Su Dargen d’Amico, invece, il fenomeno è forse ancor più surreale.
L’autore di “Onda Alta” – presentatosi provocatoriamente sul palco di Sanremo con degli orsacchiotti sull’abito – parla di migranti di guerra, con riferimenti alla Strage di Cutro e, più generalmente, ai migliaia di bambini uccisi dalle “onde alte” sui gommoni della speranza.
E’ inevitabile la critica alla politica dei porti chiusi, così come a quell’italiano dispiaciuto per l’ennesimo sbarco nella sua città: “senti il brivido, ti ho deluso lo so, siamo più dei salvagenti sulla barca”, dunque persone soccorse più di quante l’imbarcazione di salvataggio prevedeva.
Dargen, a Domenica In, ha poi brevemente mostrato come in Italia gli introiti dall’immigrazione controllata stiano superando le spese che il Governo emette per la stessa; un bilancio, quindi, in positivo. Poco dopo, Mara Venier corre frettolosa da D’Amico e urla alla pubblicità, dicendo che “qui è una festa, siamo qui per parlare di musica e per divertirci, ci vorrebbe troppo tempo per approfondire questi argomenti”.
Nel fuorionda, non tanto fuori, si sente per di più la Venier riferirsi scontrosamente ai giornalisti sostenendo di averla messa in imbarazzo, di non continuare a porre domande su temi del genere.
La riflessione
Ripresa da qualche giornalista al fine di rispondere alle critiche, Mara Venier se ne esce “piangendo“, sconfortata e sostenitrice del fatto che in carriera non abbia mai censurato nessuno e che lei, in primis, non lo sia stata da nessun AD ed in nessun suo programma. A conclusione, ha invitato per domenica 18 Ghali e Dargen D’Amico per parlare “con più calma”.
“A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina“, tuonava Giulio Andreotti e, sulla bontà riparatrice della Venier, il “pensar male” è tutt’altro che in piccole quantità. D’altro canto, come emerge di recente, l’arringa difensiva della conduttrice sembra essere quella di aver semplicemente eseguito gli ordini dell’Amministratore Delegato RAI.
Da qui, il titolo di questo articolo, richiamante “La banalità del male” di Hannah Arendt, testo sul processo di Norimberga ai gerarchi nazisti con particolare attenzione ad Adolf Eichmann, mente logistica dei maggiori campi di concentramento. “La banalità della RAI“, perché – come per Norimberga – sembra così scontato “eseguire degli ordini”, una mentalità giustificatrice della qualunque che trova una ratio solo nella sovraordinazione-subordinazione tra “capo” e “dipendente”.
Lungi, in questa sede, paragonare un attimo di televisione italiana agli anni più scuri della nostra storia, eppure non può che ritornare alla mente questo rapporto di “sudditanza contrattuale”: sei il mio datore, allora eseguo i tuoi ordini.
Il problema, subentra, però, quando a rispettare “gli ordini” non sia una giovane giornalista in carriera, ma una professionista di settant’anni che di TV ne ha fatta. Avrebbe potuto derogare ad un comunicato chiaramente sbilanciato? Certamente. E’ giusto riversare odio verso la Venier? Certamente, no.
Perché ancora una volta, in Italia, sbagliamo soggetto. Così come, a Napoli, è avvenuto dinnanzi la sede RAI, da parte di manifestanti che volevano appendere striscioni ai cancelli e che, invece, sono stato presi a manganellate dalla polizia. Dove risiede il problema? Che, la polizia, è sullo stesso piano di colpevolezza di chi manifesta. Un cordone di poliziotti serve a proteggere una persona o un’area in pericolo; al momento del potenziale pericolo, il cordone si attiva. Dall’altro lato, un corteo serve per manifestare il proprio pensiero, con parole e messaggi; nel momento in cui avanza ostinatamente, il cordone risponde. Si tratta di equilibrio dove, se ognuno fosse rimasto al proprio posto, nessuno avrebbe mosso un dito e, se fosse accaduto, sarebbe senza dubbio penalmente e disciplinarmente punibile.
Così Mara Venier. Ha eseguito un ordine, con una diligenza banale che tutti possiamo avere. E’, tuttavia, solo un tassello di un sistema ben più grande, che vede l’Amministratore Delegato della più grande TV italiana ed europea correre sulla difensiva, chiedendo scusa ad un Ambasciatore rocambolesco.
Un sistema, quello difeso, oggettivamente squilibrato: Hamas costituisce un’espressione del popolo palestinese, un gruppo armato che il 7 ottobre scorso ha fatto suoi 130 ostaggi (man mano liberati). I dati, sollevati da Amnesty International e altre associazioni, di contro mostrano l’esercito di Israele fautore dell’uccisione di 13.000 bambini, 70.000 civili feriti e mutilati, ospedali bombardati (in culo al diritto in guerra), l’uso (vietato dal diritto internazionale) di armi ad uranio impoverito. Carri armati israeliani che, nelle strade desolate di Gaza, prendono di mira una donna che attraversa con suo figlio per mano: disarmata, la sparano alla testa.
A Stasera Italia, d’altronde, Dror Eydar, ex ambasciatore israeliano in Italia, lo dice chiaro:
“Dopo il 7 ottobre ogni persona nel mondo che minaccia un ebreo deve morire. Per Noi c’è uno scopo, distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto”
E’ qui che risulta necessario concentrare, tuttalpiù, la nostra rabbia. Non su Mara Venier, non su 10 poliziotti con casco e manganello, ma su una politica che impone la lettura di comunicati stampa, su uno Stato, quello Italiano, capace di diffondere una narrazione diversa da una realtà palese.
Non siamo più fuori dal mondo, anzi, ne siamo completamente dentro.