CAMBIARE PER (SOPRAV)VIVERE

L’INSEGNAMENTO DEL PESCE PAGLIACCIO

Nel mondo vegetale e animale, l’ermafroditismo è molto diffuso: in alcuni casi l’adulto presenta nello stesso momento sia gli organi sessuali femminili che quelli maschili, in altri, l’animale nasce con un sesso e poi, ad un certo punto della sua vita, cambia nell’altro. È il caso dei pesci pagliaccio: questi piccoli pesci vivono in comunità, nei pressi delle anemoni di mare, tra le quali si proteggono.

Nel gruppo è presente una femmina dominante e di grandi dimensioni, un maschio deputato alla riproduzione e dei giovani sessualmente immaturi. Se la femmina muore, il maschio riproduttore cambia sesso, diventa femmina, e il più grande dei giovani indifferenziati matura sessualmente e prende il posto del maschio riproduttore. Nel passaggio da maschio a femmina, a cambiare non sono soltanto gli organi deputati alla riproduzione ma anche il comportamento: il maschio diventa aggressivo e dominante, proprio come lo era la sua compagna. Questa strategia consente alla comunità dei pesci pagliaccio di rimanere protetta nel proprio anemone e ne impedisce un pericoloso viaggio in mare aperto. Questa curiosa storia mi ha affascinata e mi ha fatto riflettere su quanto, spesso, sia necessario cambiare sesso, comportamenti e “sembianze” per poter sopravvivere.

Come tutti i cambiamenti drastici ha portato con sé crisi, insicurezze, periodi di depressione. Ma era necessario per sopravvivere e vivere per come volevo, facendo sentire la mia voce che contava, mostrando il mio corpo che valeva

In generale, mi ha fatto riflettere sull’importanza del cambiamento. Spesso vengo accusata di cambiare troppo, dai miei amici, dalla mia famiglia, dalle persone che frequento e ho frequentato. E in effetti non hanno tutti i torti. Da piccolina ero profondamente timida e introversa, mi sentivo un po’ fuori da molti contesti sociali per il semplice fatto di detestare il colore rosa e preferire lo studio della matematica piuttosto che dell’italiano come tutte le altre bambine. Adoravo guardare “Shrek” tanto da sapere tutte le battute del primo film a memoria, e invece mi costringevano a preferire “Barbie e le 12 principesse danzanti” o “Barbie e il lago dei cigni”, che ovviamente guardavo con una faccia schifata, che con il tempo mi è rimasta. Mi piaceva giocare con i miei coetanei maschi, coltivare la terra, giocare a calcio e costruire casette con legno e chiodini. Inutile dire che invece mi regalavano le casette delle principesse e i ciccio bello, per cui avevo sviluppato una profonda repulsione (forse perché a Natale 2005 mi avevano regalato un ciccio bello che gattonava e ruotava la testa a mo’ di esorcista e questa cosa mi ha un po’ traumatizzata, chi lo sa…).

Tutto questo mi faceva sentire male, inadeguata, inadatta e un po’ strana e quindi avevo deciso di stare nel mio. Ad un certo punto, però, tutta quella timidezza non mi piaceva più. Non era più un modo per vivermi tranquillamente le mie preferenze senza troppi giudizi altrui, ma, al contrario, era diventata una gabbia, che mi impediva di fare ciò che volevo e dire ciò che pensavo. Non volevo più passare inosservata per preservarmi dalle grinfie dei canoni sociali. Era come se avessi capito che quelle aspettative altrui erano solo dei punti di vista, anche un po’ noiosi e banali, o che comunque a me non piacevano ed ero stanca di farmene una colpa. Allora, ormai al liceo, mi sono buttata in varie esperienze: viaggi, scambi interculturali, candidature per rappresentanze di classe e di gruppi, esperienze di servizio e volontariato, comunità e ambienti sociali, corsi di comunicazione per provare a parlare in pubblico, nuovi gruppi di amici e un po’ di altre cose.

Tutto ciò ovviamente non mi è costato poco, come tutti i cambiamenti drastici ha portato con sé crisi, insicurezze, periodi di depressione. Ma era necessario per sopravvivere e vivere per come volevo, facendo sentire la mia voce che contava, mostrando il mio corpo che valeva ed esprimendo i miei desideri, idee e preferenze che potevano solo essere un valore aggiunto per la società, tra cui il mio orientamento sessuale non convenzionale.

Questo rappresentava la versione evoluta di me, e chissà quale sarà la prossima.

Riporto la mia storia per dire che il cambiamento è necessario, il cambiamento è naturale, forse non tanto per sopravvivere e adattarsi, ma per vivere bene. E se siamo disposti a sopportare cambiamenti drastici e tutta la fatica che questi portano con sé, vuol dire che lo facciamo per qualcosa di più grande e più bello, che possiamo chiamare evoluzione e addirittura felicità. Sono sicura che di storie così ne abbiamo sentite tante, forse anche più avvincenti e faticose, e anzi, sono sicura che ognuno di noi abbia vissuto almeno un cambiamento nella propria vita, più o meno drastico, e abbia quindi provato emozioni e sensazioni strazianti, che non si vorrebbero mai neanche lontanamente percepire nella vita.

Allora mi viene spontaneo chiedermi: Se tutti sappiamo come ci si sente nel cambiare, perché non proviamo ad aiutarci quando qualcuno sta vivendo un periodo di passaggio tra una versione di sé e l’altra? Se tutti sappiamo quanto le voci della gente, per quanto solo un punto di vista, possano pesare sulle nostre azioni, decisioni e scelte di vita, perché non provare a sforzarci ad utilizzare termini più gentili e un linguaggio più inclusivo? Ci pesa così tanto usare il femminile o il neutro, quantomeno davanti a persone che non stanno cambiando una piccola parte di sé, ma l’intero proprio corpo?

Possibile che non riusciamo a capire le loro fatiche, ad essere un minimo empatici?

Ovviamente il giudizio è più facile, ci costa meno fatica, ma spesso quando giudichiamo (perché tutti lo facciamo, nessuno scappa) non lo facciamo verso un’altra persona o una categoria, ma verso di noi e le nostre insicurezze, magari perché noi non stiamo riuscendo a cambiare, quelle altre persone, invece, il coraggio l’hanno trovato. Permettetemi di dire, quindi, che siamo tutti un po’ dei pagliacci nel giudicare sempre tutto e tutti, con l’augurio di diventare, invece, dei pesci pagliaccio, pronti a cambiamenti veramente drastici, per il bene dei propri affetti e della propria comunità.

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