E proprio adesso che vorrei scrivere, ho finito il quaderno.
L’ho finito un paio di pomeriggi fa, seduto dando la fronte al tramonto e le spalle alla luna.
L’ho finito, riscrivendo le parole di un amico.
Proprio adesso che vorrei scrivere, e che c’è qualcuno che forse velatamente me lo chiede, ho finito il quaderno. Così ne prendo uno in prestito dallo scaffale delle “cose comuni”, che poi sono spesso “cose dimenticate, rubate, orfane di un’appartenenza”. C’è sempre uno spazio del genere nelle case vissute da gente sconosciuta. Attorno a me ci sono una dozzina di persone sconosciute, e forse solo uno, o al massimo due quaderni da poter macchiare con le tracce del proprio passaggio. Questo sul quale sto scrivendo possiede almeno 5/6 pagine consumate dalla mia di penna, ed almeno il doppio da quella di chissà quali altri ragazzi e ragazze.
Che poi, proprio adesso che vorrei scrivere, che forse velatamente qualcuno me lo chiede e che distrattamente sono riuscito a trovare un quaderno, inizio a girarci attorno, di fatto non sapendo che cosa realmente voglia comunicare.
Mi capita spesso, specie con questo tipo di scrittura (quella che so che sarà destinata alla condivisione), di riempirmi di intenzioni e svuotarmi di contenuti. “Cosa vorrebbe leggere la gente?”, mi chiedo. E ancor di più: “Cosa sono io in grado di comunicare?”. Non sono esperto di nulla, quindi escludo subito categorie e approfondimenti. Sono solito scrivere, quasi sempre per me stesso, di ciò che vedo, vivo, sento… ma in fondo la gente perché dovrebbe essere interessata ai cipressi che fanno a gara per mostrarsi dalla mia finestra?
Due parole di quest’ultima frase, “mia” e “gente”, hanno rubato la mia attenzione: il possesso e la generalizzazione. Potrei scrivere di questo. Cazzo sì, potrebbe essere interessante. Ma nell’esatto momento in cui l’idea si materializza in contenuto, ecco che perde subito tutto il suo fascinoso potenziale. E poi ho paura di ergermi a guru, parlando di temi che si farebbero facilmente inquinare da una spicciola spiritualità. E guru, io, non voglio proprio essere.
In fondo vorrei solo scrivere, questa volta per me, ma anche per qualcun altro che abbia voglia di leggere le contorsioni di un quaderno preso in prestito dallo scaffale delle “cose comuni” di una casa circondata da cipressi e abitata da dodici americani e un unico italiano.
Io che con le lingue inizio a fare confusione (quante volte ho dovuto interrompere la penna dallo scrivere parole come “actually” e “apparently” che la mia mente aveva già saldamente incasellato nel pensiero) e che per questo forse, non voglio lasciare andare la scrittura: perché in fondo mi basta tenermi un po’ più saldo all’intenzione, anche se priva, apparently, di contenuto.