Il 18 aprile del 1948, si tennero le elezioni più decisive della storia d’Italia repubblicana dove gli elettori presero decisioni fondamentali su tutto: politica, economia, religione, collocazione internazionale.
Esattamente 71 anni fa, gli italiani furono chiamati a votare per la prima volta dopo l’entrata in vigore della Costituzione.
E tutti, uomini e donne, poterono esprimere il loro voto politico: per le donne era la prima volta dopo il Referendum del 2 giugno. Ai seggi si recarono il 92% degli italiani, quasi 27 milioni di persone.
Le aree politiche erano due. Ed erano quelle che qualche anno prima avevano combattuto fianco a fianco la Resistenza contro il nazifascismo: da un lato c’era la Democrazia Cristiana, dall’altra il fronte democratico popolare, una federazione di partiti di sinistra rappresentata dal Partito Comunista e dal Partito Socialista.
La posta in gioco per l’Italia era molto alta. In ballo non c’era infatti solo il governo del Paese, ma queste elezioni avrebbero decretato a quale schieramento politico internazionale appartenere, di quella che Churchill definì “cortina di ferro”, Unione Sovietica o America?
Le pressioni erano altissime: il 3 aprile dello stesso anno, 15 giorni prima del voto, il Presidente americano Harry Truman aveva lanciato il cosiddetto Piano Marshall, un piano di aiuti di 14 miliardi di dollari per la ricostruzione economica dell’Europa Occidentale. Piano contestato da Palmiro Togliatti che lo liquidò come un ricatto politico.
In questo bipolarismo politico una sola cosa accumunava le due parti: l’interesse ad un affluenza massiva alle urne. Non mancarono slogan, manifesti elettorali “molto creativi” e spesso caricaturali ed intimidazioni delle più bizzare (esemplificativa è la frase di Guareschi “Nel segreto dell’urna dio ti vede! Stalin no!” ).
Il timore del prevalere del fronte comunista spinse inoltre la Chiesa a mobilitarsi in prima persona creando comitati civici per il voto alla Democrazia Cristiana. Alle urne si recò così, come in un pellegrinaggio, chiunque era in buone condizioni, ma anche chi in buone condizioni non lo era affatto: portato a braccio, in barella o in carrozzina.
Il responso delle urne fu clamoroso: la Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza relativa dei voti, il 48,5%, e quella assoluta dei seggi, ben 305 alla Camera dei Deputati. Il Fronte Democratico si ferma al 31% conquistando 183 seggi. Le sinistre scontarono anche la spaccatura interna ai socialisti, consumatasi l’anno prima con la scissione di Palazzo Barberini e la nascita del Partito Social Democratico di Giuseppe Saragat (la lista di riferimento, Unità Socialista, prese il 7%).
Grazie ad una propaganda efficace e alla prospettiva di immediati aiuti economici dall’America, la DC vide raddoppiare i suoi voti rispetto a due anni prima, quando si era votato per l’Assemblea Costituente.
Con la maggioranza assoluta, De Gasperi, pur avendo i numeri per governare da solo, preferì avvalersi dell’appoggio di socialdemocratici: liberali e repubblicani per rinforzare l’azione dell’esecutivo , anche perché al Senato dipendeva ancora dai voti degli oltre 100 senatori “di diritto”, in quanto perseguitati dal regime fascista (per la maggioranza vecchi liberali) in base alla III disposizione transitoria della nuova Costituzione.
A seguito del 18 aprile e con l’elezione di Luigi Einaudi come primo Presidente della Repubblica, il 12 maggio, il Governo De Gasperi si insediò con pieni poteri. Più in generale, si apre la lunga stagione politica del centrismo caratterizzata da un’egemonia democristiana e dall’opposizione social-comunista.