Perché abbiamo paura?

L’Italia non è un popolo di santi checché ne dica la filastrocca che piace tanto ripetere, anzi, è arrabbiata. Così come tutto l’Occidente. Più che mai ci si sta rinchiudendo dentro recinti e cosmi personali che non producono niente. Siamo un popolo che ha paura perché vecchio, seduto a un tavolo di giganti in cui, oramai, non conta più granché. 
Un riferimento a poco meno di un secolo fa: una Germania appena uscita  sconfitta dalla prima Guerra Mondiale non può pagare i debiti che i vincitori le hanno imposto e nella popolazione, stanca e stufa, cresce il malcontento. In tutto questo, un signore coi baffetti, in Austria, fa parlare di sé e viene rinchiuso in carcere dove scrive il Main Kampf. Una volta libero e dopo averlo pubblicato, viene snobbato dagli intellettuali dell’epoca (nulla gliene poteva importare a chi era già soddisfatto e contento), ma non dalla gente. Chi è questa gente? A chi arrivò il messaggio di odio profondo di Hitler? Agli esclusi ed agli emarginati.
C’è qualcosa di simile a quello che stiamo vivendo oggi?
Come allora lasciamo che degli “imprenditori della paura” controllino le nostre impressioni sulla realtà. Codesti personaggi, però, oggi hanno un mezzo molto più potente: la rete. Temiamo il diverso, che qualcuno per strada con la pelle nera (la stessa strada che facciamo ogni giorno per tornare a casa) ci rapini, ci violenti, ci rapisca, anche se è molto più probabile che ci cada un asteroide in testa, così come è vero che la Coca-cola faccia più morti del terrorismo, ma chi fa più paura? Una cosa è certa, non ci si pone tante domande né su una né sull’altro.


Nel mondo ci sono più di 150 milioni di migranti italici (quindi più che popolo di santi, popolo di migratori) e ogni anno sono 700mila gli italiani che vanno all’estero (chi è l’invasore?). E’ così da sempre. Basti pensare alle grandi migrazioni in America, Germania o Argentina, per citarne alcune. Quindi qual è la grande differenza tra i migranti italiani e gli immigrati sul suolo italiano? Non è il verso né tanto meno la qualità della manodopera, ma il modo in cui si fa integrazione. Gli italiani, oggi come allora, arrivati in un altro Paese, trovano delle comunità (se non tutte, alcune) disposte ad accoglierli e a farli inserire nel tessuto vitale della società. In primis apprendono la lingua, mantengono la propria cultura e, al tempo stesso, imparano  ad apprezzare quella del popolo ospitante che pian piano diventa casa. Il grande errore dell’Italia di oggi, invece, è quello di delocalizzare questi “poveretti” in gruppi etnici isolati (recinti culturali). Non c’è da meravigliarsi di questo: un popolo chiuso insegna la chiusura. 
La Germania ha accolto 1.000.000 di migranti a cui ha dato 6 mesi per imparare lingua e costituzione. Chi governava in quel momento la Germania aveva ben pensato al futuro del proprio Paese (oltre che hai diritti umani), al bene comune dei propri cittadini, anche mentale, e non a una squallida ricerca del consenso. Perché se un ingegnere siriano che il suo Stato ha accudito, spendendo soldi per la sua istruzione, viene in Germania e contribuisce con le sue conoscenze, lo Stato si trova con una risorsa in più senza spendere nulla. E’ o no un affare? Lo stesso vale per diverse professioni, anche le più umili, perché c’è bisogno anche di quelle. Oltre a contribuire all’aumento demografico di un’ Europa sempre più vecchia, stanca e pigra che non ne vuol sapere di far figli e, naturalmente, donare il proprio patrimonio culturale (cultura? Che strana parola).
Il nostro governo, dal canto suo, propone un decreto legge quasi del tutto incostituzionale (Costituzione? Che strana parola) che condanna le persone al rimpatrio, prima di esser condannate, e altri abomini. Ma vi domando, se uno sta bene a casa sua scappa? Ora ecco i diversi tipi di migrante che sbarcano nella nostra italietta:

  • Migrante ambientale, ovvero una rapina ambientale, dove una persona si ritrova senza casa perché è stata rasa al suolo e senza mezzi di sussistenza perché la foresta vicina è stata  disboscata per produrre i vari prodotti che a noi occidentali piacciono tanto oppure semplicemente  vittima di catastrofi naturali. Si potrebbe fare un esempio analogo con la Xylella, dall’oggi al domani qualcuno si è trovato privato dei suoi alberi che provvedevano al mantenimento della propria azienda e si è trovato costretto a migrare.
  • Migrante economico, questa particolare persona è molto più ricca di noi, poiché per nazionalità è detentrice del bene comune del proprio Paese, ovvero delle materie prime che fanno funzionare il mondo occidentale, ora lasciamo ad un’altra sede il motivo per cui queste persone sono costrette a scappare (Costrette!) e limitiamoci nel dire: perché accettiamo il petrolio nigeriano, ma non il nigeriano?

       Se proprio si volesse fare qualcosa per queste particolari persone (e anche per noi) , si  dovrebbe riformare il WTO (Organizzazione mondiale del commercio) cioè cambiare le dinamiche di importazione ed esportazione. Proviamo a metterci nei panni di un uomo del Bangladesh che improvvisamente scopre che la sua camicia, che ha sempre venduto ad     1,50 €, in occidente ne costa 60€, iniziereste a pensare di cambiare aria o no?

Tiriamo le somme: in questo particolare periodo storico dove la ragione non è certamente dalla nostra parte perché i  modi di vivere stanno distruggendo gran parte del pianeta, dobbiamo avere la lungimiranza di uscire fuori dalle nostre gabbie, che molto spesso chiamiamo “sicurezze”; qualcosa  sta cambiando e che si creda o no l’azione di ciascuno muove il mondo. Cosa si è mai risolto attaccando ed escludendo? Quanto, invece, di bello si è creato abbracciando ed avvicinandosi l’un l’altro, costruendo ponti invece che muri. Da una sola idea non nasce nulla, da due invece ne nascerà sempre una terza. Questo evidente problema sociale che stiamo vivendo è accentuato da una classe politica che non riesce a porre l’attenzione sui veri problemi, i quali probabilmente non ha la capacità di affrontare. Siamo un Paese che va sempre più indietro, temi come l’indipendenza energetica,  l’utilizzo dei pozzi di petrolio del mediterraneo, le esigenze  dell’ambiente in equilibrio e concordanza con quelle della nostra società, le nuove scoperte che cambieranno il mondo per sempre e il rapporto della Europa rispetto a queste non vengono trattati. Noi tutti dobbiamo iniziare a porci queste domande che sono quelle a cui bisogna rispondere davvero per il futuro, se vogliamo avercelo.

Di Andrea Tundo

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