Legge 194, aborto e pillola anticoncezionale
Sono passati oltre 40 anni dall’approvazione della legge 194/78 e ancora, l’opinione pubblica è divisa tra due scuole di pensiero riguardo il grande dibattito sull’aborto. Da una parte, cittadine e cittadini che ritengono che l’aborto volontario nel primo trimestre sia un diritto che il servizio sanitario debba soddisfare; dall’altra, un attacco sistematico estremamente violento, all’applicazione della legge, da parte soprattutto di integralisti religiosi.
Solo in Italia ci si pone il problema dell’obiezione di coscienza in maniera così preoccupante e drammatica: altri Paesi europei la consentono, ma con percentuali che viaggiano dal 20 al 25%. In Italia, invece, le percentuali salgono addirittura al 70-80%, numeri che in Svezia sono vietati.
La legge permette il ricorso alla IVG, alla donna che, entro le prime 8 settimane, “accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art. 4). L’art. 5 prevede che il padre del concepito non possa in alcun modo intromettersi nella IVG e non sia titolare di alcun diritto sul feto. Entro la 22esima settimana l’interruzione della gravidanza è permessa solo se la madre ha una condizione di malessere personale molto grave che non permette di portare a termine la gravidanza o se il bambino ha un problema di malformazione, il quale rappresenterebbe un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Dopo la 22esima settimana la madre può abortire solo se è presente una gravissima malformazione del bambino. Oltre questo limite la scelta della madre non è più contemplata.
La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime.
È possibile non essere d’accordo con tutto ciò? Com’è possibile che le cure giuste non vengano somministrate per motivi religiosi?
È possibile accettare ancora, nel 2022, ospedali in cui non si mette al primo posto la salute e la cura della donna? In cui nel colloquio pre-aborto, in alcuni casi, lo psicologo tenta di farti cambiare idea? Come si fa a non entrare in empatia con una ragazzina di 16 anni stuprata, che un bambino in grembo non lo vuole? Chi siamo noi a dire cosa sia giusto e cosa sbagliato ad una donna, che magari è già madre e decide di abortire per tutelare economicamente (e non solo) i suoi figli e l’intera sua famiglia? Chi siamo noi per dire che quella donna ha sbagliato? Potrà avere le sue buone motivazioni senza, per forza, doversi giustificare con il mondo intero? Noi facciamo sempre le scelte giuste e la cosa giusta? E poi giusta per chi? Per la morale?
Donne stuprate o con problemi economici, ragazze minorenni abbandonate dalle stesse famiglie, donne morte per aborti clandestini -perché abortire è sempre più difficile- donne poco ascoltate, additate da altre donne per una loro scelta, che considerano una scelta d’Amore, per la propria famiglia, per sé stesse e per quel bambino che magari sarebbe nato senza le giuste cure e attenzioni che quelle donne avevano il desiderio di donargli.
Le donne pagano questo prezzo altissimo perché al fondo di queste questioni vi è una misoginia violentissima che, alla fine, attacca anche gli uomini, i bambini e l’intera società, che invece di andare verso una maggior civiltà di rispetto delle persone e di sostegno alla libera scelta, regredisce.
Per non parlare della contraccezione: perché aver escluso i contraccettivi dai livelli essenziali di assistenza?
La contraccezione, in generale, determina una mancata gravidanza solitamente tramite ormoni che interferiscono con il meccanismo dell’ovulazione; sono un’associazione di progestinici ed estrogeni oppure solo progestinici.
Esistono anche metodi contraccettivi d’emergenza, cui rivolgersi in seguito ad un rapporto sessuale non protetto; si parla del Levonorgestrel, la cosiddetta pillola del giorno dopo, l’Ulipristal acetato (o ellaOne), la pillola dei cinque giorni dopo, e l’RU486, la pillola abortiva.
L’RU486 (o Mifepristone) è un farmaco con effetto abortigeno molto noto, che provoca l’indebolimento della parete uterina che si sfalda e di conseguenza l’embrione, già impiantato, si separa dall’utero. Verrà poi somministrato un altro farmaco che provochi contrazioni e l’espulsione dell’embrione stesso.
Rappresenta un’alternativa all’aborto chirurgico che si può tenere in considerazione entro le prime 7 settimane di gravidanza.
Perché non veniamo educate all’utilizzo della pillola e alla scelta del metodo contraccettivo più idoneo per creare, finalmente, una cultura sulla cura, prevenzione e protezione personale? Sorge spontaneo domandarsi se, in fondo, non ci sia il desiderio recondito, da parte di alcuni movimenti ProVita e della destra italiana, di tornare all’epoca in cui ogni relazione sessuale era finalizzata alla procreazione, cancellando così non solo secoli di battaglie femminili, ma anche la possibilità, per la donna, di poter vivere liberamente la propria sessualità.
Le donne delle vecchie generazioni hanno ottenuto la legge del 22 maggio 1978, n.194, con tenacia, manifestazioni, arresti, battaglie, e l’hanno fortemente voluta perché le donne morivano di aborti clandestini.
Il problema è che le donne muoiono ancora.
La negazione di questo diritto non è altro che un’altra forma di violenza che la nostra società eterocispatriarcale perpetra per disciplinare e strumentalizzare corpi e soggettività.
Vogliamo ascolto, sostegno, tutela e cura delle donne, che hanno un nome e cognome loro.
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