Mondiale in Qatar: un’opportunità o uno sfruttamento?

Domenica 20 novembre avrà inizio il prossimo Mondiale di calcio. E per quanto per noi italiani la notizia non possa che far emergere un certo rammarico per la mancata qualificazione, totalmente inaspettata, contro la Macedonia del Nord, è impossibile non rimanere affascinati dalla portata di questo evento. Specialmente nel momento in cui un’occasione per dimostrare la forza agonistica della propria Nazione viene ospitata in un Paese che risulta piuttosto povero dal punto di vista della tradizione calcistica. Verrebbe quindi da chiedersi perché la commissione FIFA abbia scelto proprio il Qatar, un Paese poco più grande dell’Abruzzo, per ospitare questi mondiali.

Le ragioni possono essere molte, tra cui la presenza nella commissione di quattro paesi mediorientali, i cui voti potrebbero aver quantomeno aiutato la candidatura del Qatar a non essere bocciata in partenza. Dopodichè potrebbe esserci stata una scelta da parte della FIFA di ampliare gli orizzonti del calcio. Questo perchè i paesi mediorientali come il Qatar sono pieni di giovani talenti che vorrebbero sfondare nel mondo calcistico ma che non ne hanno l’opportunità a causa della scarsità di eventi organizzati. Includere quest’area geografica nel mondo del calcio che conta, potrebbe essere un’occasione per rilanciare lo sport in zone in cui, sia per motivi economici che culturali, questo non viene sufficientemente valorizzato. Insomma, questa scelta ha indubbiamente degli aspetti positivi.

Ci sono però, a questo punto, anche le prese di coscienza circa la situazione politica del Qatar: parliamo di un Paese in cui la struttura del governo è diametralmente opposta alla nostra. Si tratta, infatti, di un emirato in cui non sono permessi partiti politici e in cui la legge va di pari passo con la religione islamica. Qui, come in molti altri paesi islamici, la politica è incentrata prevalentemente sulla censura e sull’insabbiamento degli scandali, i quali purtroppo sembrano aver riguardato anche l’organizzazione di questo Mondiale. In pochissimo tempo dall’assegnazione, infatti, alcuni stadi sono già stati ultimati, mentre altri sono già in avanzata fase di costruzione. Questo può significare due cose: o c’è stato un numero di lavoratori talmente elevato da ricoprire i tempi di costruzione e ridurli in maniera così notevole, o abbiamo assistito all’ennesimo caso di sfruttamento sul lavoro. Non a caso, secondo un’indagine del Guardian, sono stati più di 6750 i morti sul lavoro dall’assegnazione dei Mondiali a oggi, in particolare lavoratori provenienti da India, Nepal, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, il che ha spinto molte federazioni calcistiche europee a prendere posizione sul mancato rispetto di diritti umani in Qatar. Un esempio è la federazione norvegese, che ha disposto che i giocatori entrassero in campo con una maglia presentante la scritta “Human Rights – on and off the pitch”, pur avendo alla fine votato contro il boicottaggio del mondiale da parte della propria nazionale. Non sembra però, ad oggi, esserci la possibilità concreta che l’assegnazione del Mondiale venga data ad un’altra Nazione.

Insomma, per quanto un Paese come questo in un’area poco valorizzata dal panorama calcistico possa innegabilmente portare ad un ulteriore sviluppo del mondo del calcio, bisognerebbe chiedersi se valga la pena correre il rischio che per migliorare l’immagine “estetica” del Qatar vengano messe in pericolo sempre più vite umane, la cui dignità continua ad essere sepolta, come spesso accade, dal peso del denaro.

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