“Come stai?”
Ormai la risposta è una certezza, guai a chi si mostra debole, dobbiamo sempre allenare un sorriso smagliante.
Ma siamo veramente felici?
Nella società neoliberista il dolore perde qualsiasi relazione col potere e il dominio; esso infatti viene depoliticizzato, diventando una mera questione medica: la nostra esistenza è capitanata dal dispositivo neoliberista della felicità che ci distrae dai rapporti di dominio vigenti inducendoci all’introspezione. Esso fa sì che ognuno si tenga impegnato solo con sè stesso, con la propria psiche, invece di indagare criticamente le questioni sociali.
La stessa sofferenza,della quale sarebbe responsabile la società, viene privatizzata e psicologizzata a tal punto che le condizioni da migliorare non sono sociali, bensì psicoindividuali. Ma mentre tentiamo di riparare alla meno peggio la nostra anima, perdiamo di vista le questioni legate alla società; il che determina non poche conseguenze. Se siamo tormentati da paure e insicurezze, ecco che colpevolizziamo noi stessi.
La psicologia positiva sigilla la fine della rivoluzione.
Oggi a salire sul palco non sono i rivoluzionari, bensì i trainer motivazionali che impediscono il diffondersi del malumore o della rabbia.
Ciò che imperversa è un’algofobia ovvero una forma generalizzata di paura del dolore in tutte le sue forme. Una delle conseguenze principali di questa propagazione del terrore è un’anestesia permanente, dove ogni contesto doloroso sembra venir evitato sistematicamente
.[1]“Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Cielo sempre blu, ragazze sempre belle, una felicità perfetta, ritoccata in Photoshop. (…) Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma. La vostra sofferenza dopa il commercio”. Sono le parole di un capitolo del libro “Lire 26’900” di Frederic Beigbeder[2] e descrivono perfettamente come la polimatìa (ovvero l’ammucchiamento di informazioni) e il perenne Nuovo intasano il pensiero degli individui e li inducono a pensare ad una visione esclusivamente pubblicitario-consumistica.
Gli analgesici, prescritti in massa, nascondono le circostanze sociali che conducono al dolore: se ci pensiamo, gli stessi social media e i videogiochi fungono da anestetici. Ma l’assoluta medicalizzazione del dolore impedisce che esso si faccia linguaggio, anzi critica e sottrae il suo carattere oggettivo e sociale. Siamo i “dormienti” di Eraclito, continuiamo ad accontentarci di una realtà superficiale, distratti da essa, siamo inibiti alla scoperta e alla riflessione che inevitabilmente ci conducono al dolore, come d’altronde scrive lo stesso Spinoza:“più accresciamo la nostra conoscenza e più andiamo incontro al dolore”[3].
La nuova formula di dominio recita: “Sii felice”.
La positività della contentezza scaccia la negatività del dolore e in forma di capitale emotivo positivo deve garantire una continua capacità di prestazione. Anche la sofferenza viene interpretata come il risultato del proprio fallimento: così invece della rivoluzione, c’è la depressione. L’auto-motivazione e l’auto-ottimizzazione rendono molto efficiente il dispositivo neoliberista della felicità, in quanto il dominio si fa strada senza grandi fatiche; quest’ultimo continua a confezionare individui, che paradossalmente devono essere felici di sfruttarsi, il subordinato non è nemmeno consapevole della propria subordinazione, convinto di essere libero, senza alcuna costrizione esterna, si sfrutta volontariamente credendo di realizzarsi. La libertà non viene oppressa, bensì sfruttata.
Questo è ciò che avviene con i “dipendenti” del consumo. Ma cosa accade dall’altra parte parte? come si sente il consumatore?
Il consumismo di per sé dà origine a una spirale motivazionale fallace per la società. La realizzazione instancabile dei desideri ha l’unico effetto,in totale assenza di limiti, di assuefare le persone e di smorzare ogni potenziale soddisfazione per ciò che viene consumato. Il famoso “senso di vuoto” di cui tutti ci lamentiamo. La persona scivola così nell’”anedonia del consumatore”, laddove il consumo si traduce soltanto in un’effimera distrazione. Consumismo e torpore psichico sono perciò imperterriti alleati.
Il dispositivo neoliberista della felicità reifica la felicità, che è più della somma dei sentimenti positivi capaci di assicurare una prestazione migliore. La vera felicità è possibile solo se infranta. È proprio il dolore a tutelare la felicità della reificazione. Inoltre le conferisce una durata. Il dolore regge la felicità. La felicità dolorosa non è un ossimoro: ogni intensità è dolorosa. La passione unisce il dolore e la felicità, che secondo Nietzsche, sono “due sorelle, e gemelle, che diventano grandi insieme o […] restano piccole insieme”[4]. Se il dolore viene soffocato, ecco che la felicità si appiattisce scemando in un apatico torpore.
Fonti:
[1]”la società senza dolore” di Byung-chul Han
[2] Lire 26’900” di Frederic Beigbeder
[3]”L’etica” di Spinoza
[4]”La gaia scienza” di Nietzsche