Inquinamento industriale, deforestazione, perdita della biodiversità e collasso dell’ecosistema, eventi meteorologici estremi, grandi disastri naturali causati dall’uomo, tra cui anche l’insorgenza di pandemie che hanno portato a problemi economici e sociali a livello globale. E ancora, l’impatto ambientale causato dalle nostre scelte alimentari poco ecosostenibili, tra cui l‘abuso di carne e il mancato consumo critico, inteso come mancata predilezione verso l’acquisto di prodotti a Km0 e di stagione, che possono determinare non solo problematiche di salute del pianeta (emissioni di CO2, inquinamento idrico e dell’aria, ingente dispendio di acqua e risorse), ma anche del singolo (ipertensione, diabete, insorgenza di tumori).
Questi (e molti altri) sono temi di cui sentiamo parlare ogni giorno; ma c’è qualcuno che se ne occupa e che cerca di sensibilizzare la popolazione verso una cultura ed un’educazione più green?
Abbiamo intervistato i membri dell’associazione NoPlanetB per farci raccontare il loro impegno politico e sociale sul territorio di Monfalcone, in Friuli.
Come nasce e perché nasce NoplanetB?
NOplanetB nasce nell’estate 2017 per iniziativa di tre amici preoccupati per l’emergenza climatica e con la necessità di azione concreta. Vista la mancanza di attivismo e ambientalismo giovanile sul territorio di Monfalcone abbiamo iniziato a riunirci con l’obiettivo di istruire noi stessi rispetto alle problematiche ambientali, cercando di coinvolgere e sensibilizzare le realtà del nostro territorio.
Da maggio 2021 siamo un’associazione giovanile di 61 ragazzi consapevoli e convinti che sia necessario responsabilizzare le persone riguardo il cambiamento di cui la società ha bisogno.
Tra le attività svolte negli anni sicuramente quella delle pulizie delle spiagge è quella che ci ha sempre accompagnato maggiormente: riunirsi per apportare un beneficio, lasciando il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.
Il professor Meadows, docente del MIT (Massachusetts Institute of Technology), pubblicò nel 1972 un rapporto che svelava il degrado sempre più profondo ed esteso dell’ambiente naturale, non solo locale, ma ormai globale. Perché dopo 50 anni ancora non abbiamo fatto niente? Perché siamo così lenti ad avere una presa di coscienza ecologista?
Non è vero che non è stato fatto niente, indubbiamente dal ’72 ci sono state molte migliorie ambientali.
Basti pensare a nuovi materiali che sono stati progettati per processi industriali, alla mobilità sostenibile, ma anche ai vari scioperi del movimento FridayforFuture, con cui ci si è mossi in massa per trasmettere l’emergenza climatica. Grazie a questi movimenti, il tema è stato molto sentito sia a livello individuale che istituzionale; governi e istituzioni hanno promosso varie iniziative, tra cui l’Agenda 2030 e il Green New Deal. Con quest’ultimo sono state introdotte delle normative che vanno a tutelare l’ambiente anche a livello agricolo, ad esempio con la diminuzione dei fertilizzanti e l’aumento della percentuale dei terreni coltivali in maniera biologica.
Esistono anche delle aziende sensibili ai temi ambientali, che hanno come obiettivo quello di diminuire il trasporto su gomma e aumentare quello su rotaie, che è molto meno inquinante. Un esempio è l’azienda catanese Orange Fiber, che produce tessuti sostenibili a partire da sottoprodotti degli agrumi.
Inoltre, grazie ad un aumento della domanda, sul mercato italiano sono stati introdotti vari prodotti sostenibili, tra cui le cannucce in bamboo e la coppetta mestruale del produttore francese Lamazuna, prodotti che negli anni ’70 erano impensabili.
Forse, più correttamente, le azioni verso l’ambiente sono spesso secondarie e per quanto riguarda il cambiamento climatico siamo troppo lenti ed inefficaci nel contrastarlo probabilmente perché altri interessi o forse banalmente la quotidianità prendono il sopravvento. Le problematiche ambientali rientrano in quell’insieme di cose che riguardandoci tutti non appartengono strettamente a nessuno. Inoltre i problemi ambientali spesso hanno effetti indiretti su di noi e non si è sempre in grado di riconoscere il collegamento con il problema di partenza da cittadini comuni. Inoltre problemi così sfidanti come la crisi climatica, che dovrebbe mettere in discussione il modo di vivere quotidiano, non trovano spazio nella frenesia e nel carico degli impegni di ogni giorno.
Occorrerà aspettare di ritrovarsi sul bordo dell’abisso perché scatti il riflesso vitale per la salute?
Sì, probabilmente bisognerà aspettare il punto di non ritorno, o meglio, il momento in cui la situazione sarà evidente e agli occhi di tutti. A quel punto però, probabilmente sarà troppo tardi per agire in un’ottica di mitigazione climatica, piuttosto occorrerà considerare un piano di adattamento climatico.
Sapremo trarre una lezione da questa pandemia che ha rivelato a tutti gli umani una comunità di destino strettamente connessa con il destino bio-ecologico del pianeta?
Forse la pandemia ci ha insegnato a gestire le emergenze, ma non a molto altro, sicuramente quasi nulla dal punto di vista della salvaguardia ambientale. Nonostante all’inizio della pandemia abbiamo assistito ad un rallentamento delle emissioni, i progressi sono stati subito recuperati da una ripartenza ancora più inquinante e meno rispettosa. Purtroppo, nonostante i segnali evidenti della natura, neanche una pandemia ci è stata d’aiuto per capire che non siamo proprietari della Terra, ma ospiti che se ne devono prendere cura.
Queste sono solo alcune domande che potrebbero venire in mente se si dovesse pensare al grande tema ambiente. È rassicurante sapere, però, che esistono realtà come NoPlanetB che cercano di contrastare problematiche così gravi e preoccupanti e che, soprattutto, cercano di risvegliare la popolazione attraverso l’informazione e l’azione concreta sul territorio.
Noi di ParolAperta ci auguriamo che possano nascere sempre di più gruppi, collettivi e associazioni improntati sulla cura ambientale e che sempre più giovani abbiano la voglia di impegnarsi e avvicinarsi verso tematiche ecosostenibili.