Basta col cerchiobottismo!

Viviamo in un’epoca di politica definita “post-ideologica”. Concretamente, questo termine va ad indicare i movimenti politici che si sono affermati a partire dagli anni Ottanta e che, per la prima volta nello scenario delle liberal-democrazie, hanno rivendicato un certo distacco e indipendenza dalle visioni del mondo dominanti nel corso della Guerra Fredda: liberalismo e socialismo. Il 1989 è stato un anno decisivo non solo per la storia geopolitica del mondo, ma anche per la storia dei movimenti politici: assieme alla disgregazione o alla sconfitta schiacciante di grandissima parte dei partiti comunisti nei Paesi del blocco occidentale, si è potuto assistere ad una crescita consistente di movimenti che, almeno all’apparenza, intendevano perseguire altri obiettivi politici rispetto a quelli delle monolitiche fazioni di Destra e Sinistra. Alcuni esempi sono i primi partiti dei Verdi nati proprio in questi anni, alcuni partiti indipendentisti, o, per fare un esempio decisamente più recente, lo stesso Movimento Cinque Stelle degli albori.

La crisi dell’ideologia in politica è un fattore da non sottovalutare. Se marxianamente intendiamo come “ideologia” ciò che nasce da un particolare sistema economico e finisce per legittimarlo, dobbiamo ricondurre la nascita di partiti “post-ideologici” al disimpegno dei loro promotori a mettere in discussione i sistemi socio-economici vigenti. Dichiararsi “oltre le ideologie” sarebbe, detto in altri termini, un modo per non fare i conti con il sistema da cui nascono, un escamotage per apparire appetibili agli occhi dell’opinione pubblica (in quanto alternativi alla “vecchia politica”) ma che porta comunque ad essere riassorbiti in quel sistema che si contestava con tanta durezza. È la parabola di tanti movimenti populisti.

Credo tuttavia che Max Weber, più che Marx, abbia dato una definizione di “ideologia” che spiega meglio la politica attuale e la sua deriva post-ideologica. Quando Weber prese in esame il più importante partito socialista tedesco, la Spd, si accorse di come la nozione di “ideologia” fosse un puro collante per aggregare elettori, dare credibilità ai dirigenti e mantenere uno status quo di passività politica. Il socialismo tedesco, cioè, come le sinistre ritenute anti-sistema nelle democrazie del Secondo Dopoguerra, utilizzava il marxismo come pretesto per opporsi diametralmente alle altre forze politiche, mettendo in piedi un “muro contro muro” che ha finito per indebolire questi partiti, facendoli in molti casi sparire dalle schede di voto. In questo senso, la politica post-ideologica è quella di chi non ritiene indispensabile per i membri di un partito attenersi ad una precisa visione del mondo o a dei valori etico-morali: gli elettori, ormai ridotti a tifosi sportivi, voteranno sempre e indistintamente un partito o un candidato per questioni simboliche ed emotive, indipendentemente dalla propria fedeltà a certi ideali. Questo conduce ad esempio, nella moderna politica elettorale, alla candidatura di esponenti fascisti da parte di forze politiche che cercano di prenderne le distanze, o alla candidatura di mafiosi da parte di partiti che ribadiscono il proprio impegno contro la criminalità organizzata con slogan preconfezionati.

Joseph Schumpeter, importante economista e scienziato politico austriaco, è il padre di un’interessante “teoria dello scambio politico” che muove dall’assunto fondamentale che, anche nei regimi democratici, i reali protagonisti dell’agire politico siano le élites, le quali vengono periodicamente definite dal popolo per mezzo delle elezioni. In una democrazia rappresentativa, cioè, l’unico vero compito affidato alle masse è quello di “accettare o rifiutare gli uomini che dovranno governarle”: l’uomo politico è l’unico attore sulla scena, laddove “la piazza”, intesa come forza irrazionale, non può governare. Ad ogni elezione, dunque, il politico contenderà con altri candidati il voto popolare, esattamente come in un modello di mercato concorrenziale gli imprenditori cercano di ottenere il maggior numero di consumatori e, di conseguenza, il maggior profitto. Questo profitto, nella politica, si traduce fondamentalmente nel potere inteso come ruolo di comando, nomine di cariche pubbliche, detenzione legittima della forza e via dicendo. È per questo motivo, perciò, che i partiti “post-ideologici” adotteranno strategie di marketing per presentare ai propri elettori il prodotto più funzionale possibile a risolvere i problemi della collettività. L’elettore-consumatore diventa la preda di strategie comunicative volte ad estorcergli il voto, indipendentemente da quelle che possano essere le sue personali convinzioni. Nascono così i catch-all parties, i “partiti piglia-tutto”, che, riducendo drasticamente il proprio bagaglio ideologico, cercano di garantirsi il maggior numero possibile di voti per assicurare l’accesso alla scena pubblica a diversi gruppi di interesse. Secondo il politologo Otto Kirchheimer, questo obiettivo è perseguito attraverso la scelta sistematica di temi su cui concentrare l’attenzione che garantiscono un ampio consenso nel corso della campagna elettorale.

Come ci si muove, dunque, all’interno di uno scenario in cui l’ideologia non è altro che un vezzo estetico? Non resta altro, per gli opinion leader, che marciare sulla disillusione degli elettori nei confronti della “vecchia politica” per fare considerazioni scevre di reali argomenti contro o a sostegno di una tesi e restare in una zona grigia di ambiguità che dà loro non solo l’apparenza di non cadere mai in contraddizione, ma anche quella di non poter essere immediatamente ricondotti alla visione politica di un certo partito. È il caso dei sedicenti “liberi pensatori” di destra o di sinistra, personaggi spesso ospitati nei salotti televisivi o nelle colonne di testate che fanno della “Libertà” (o presunta tale) il loro tratto distintivo. Il modus operandi di questi opinionisti è sempre lo stesso e prende giornalisticamente il nome di “cerchiobottismo”, dal proverbio “dare un colpo al cerchio e uno alla botte”: invece di professarsi apertamente a favore o contrari ad un provvedimento politico, nella convinzione di armarsi di un invidiabile spirito critico si prestano a impressionanti giravolte dialettiche per sembrare alternativi, controcorrente, estranei a qualunque dogma ideologico. Indipendentemente dall’argomento di discussione, li si ritrova sempre dalla parte opposta della barricata, pronti a difendere l’indifendibile pur di mettere a tacere le critiche di chi non li trovasse abbastanza apartitici. In un sofismo fine a sé stesso, in buona sostanza, sprecano il loro fiato a inveire contro una sinistra ritenuta incapace, immobile e distante dalla base; nel terrore di mostrarsi troppo schierati, poi, non dimenticano di precisare che dall’altra parte c’è una destra populista e sovranista. O, se al contrario, attaccano la destra, non perdono occasione di ricordare a tutti i lettori o gli ascoltatori che il loro pensiero è lontano anche dalla sinistra. Ritornando alla definizione di “ideologia” di Marx, dunque, la loro pretesa di “superare le ideologie” finisce sempre e comunque per preservare lo status quo delle cose, facendo esattamente il gioco della destra conservatrice che debolmente provano ad attaccare.

Bisogna perciò prendere atto dell’ipocrisia di chi non è “né di destra, né di sinistra” e riconoscere l’intento nascosto dalla loro presunta apartiticità di non avere nessuna reale intenzione di discutere proposte, ma solo quella di chiacchierarci su nella posizione di “bastian contrari” a prescindere dal contenuto di queste. E non li si creda quando provano a ribadire il proprio impegno e la propria sensibilità a certe questioni: le loro critiche non hanno lo scopo di costruire un’alternativa quanto quello di rivendicare una superiorità intellettuale e morale inconciliabile con un sistema politico ritenuto incapace e inefficiente. Non mi sorprende, a questo punto, la notizia di giornalisti famosi e acclamati che non si rifiutano di dialogare pubblicamente con forze di destra extra-parlamentare: dietro il loro intento dichiarato di dare a tutti una possibilità di dialogo c’è il terrore che precluderlo significherebbe mostrarsi vicini ad un’area politica ben definita. Ciò è scorretto per definizione.

La politica, in democrazia, è l’arte del compromesso. Ma non può esistere un reale compromesso politico tra soggetti che non vogliono prendere una posizione netta. Esistono solo chiacchierate. E tutte le forme di compromesso politico degli ultimi anni sono viziate proprio da questo problema: gli interlocutori sono sempre forze politiche o leader che, non basando su nessun principio la propria visione delle cose, cercano di posizionarsi dove è posizionata la porzione più ampia del consenso popolare. Le crisi politiche sono sempre crisi ideologiche: la nascita dei due governi Conte o del governo Draghi, la virata “europeista” della Lega, l’esultanza dei senatori di destra all’affossamento del ddl Zan si possono spiegare sistematicamente solo se si riconosce che dietro tutti questi fenomeni non c’è una reale posizione politica, ma semplice convenienza elettorale.

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”

A. Gramsci

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